Direttivi territoriali delle organizzazioni metalmeccaniche in riunione a Termoli martedì pomeriggio, dopo il vertice di Torino tra parti sociali e il ceo di Stellantis, Antonio Filosa. Incontri alla Fim-Cisl, presente il numero uno Ferdinando Uliano, e alla Uilm, col collegamento da remoto del tandem Rocco Palombella-Gianluca Ficco. Denominatore comune: mobilitazione. Uliano ha incontrato i delegati dello stabilimento di Termoli e la segreteria territoriale Fim, tracciando un quadro estremamente preoccupante per il futuro produttivo e occupazionale del sito molisano. La decisione sull’insediamento della Gigafactory, già annunciata da tempo, è stata ulteriormente rinviata, alimentando forti dubbi sull’effettiva volontà del gruppo di investire sul territorio. Nel frattempo, sono stati dismessi il reparto cambi – sacrificato proprio per fare spazio alla Gigafactory – e la storica produzione del motore Fire con una perdita diretta di circa un migliaio di posti di lavoro. Dal 1° settembre, tutti i dipendenti dello stabilimento sono stati collocati in Contratto di Solidarietà, e le prospettive future appaiono drammaticamente ridotte: l’unica produzione prevista è quella del nuovo cambio Edct, che a pieno regime impiegherà circa 300 lavoratori, numero del tutto insufficiente a garantire continuità occupazionale per gli attuali 1.821 dipendenti. L’incontro con Filosa non ha fornito alcuna garanzia su nuove produzioni destinate a Termoli, lasciando come unico scenario l’utilizzo massivo di ammortizzatori sociali, destinati però ad esaurirsi nel breve periodo. La Fim-Cisl chiede con forza a Stellantis un impegno concreto per il rilancio industriale del sito, con l’assegnazione di nuove produzioni di motori ibridi e il ritorno delle motorizzazioni italiane sulle vetture dell’ex gruppo Fiat. La crisi dello stabilimento ha già ricadute dirette sull’indotto, composto da piccole e medie imprese locali, e per una regione come il Molise – dove Stellantis rappresenta l’unico grande insediamento industriale – una contrazione occupazionale di questa portata rischia di generare una crisi economica e sociale senza precedenti per tutto il basso Molise. Presa coscienza della gravità della situazione, la Rsa di stabilimento, insieme alla Segreteria interregionale e con il pieno supporto del segretario nazionale Ferdinando Uliano, ha deciso di mettere in campo ogni azione sindacale necessaria per tutelare l’occupazione e garantire una prospettiva industriale solida. In questo momento di estrema criticità, è fondamentale il coinvolgimento di tutte le organizzazioni sindacali, delle realtà lavorative dell’indotto, delle maestranze e dell’intero tessuto sociale molisano. Per questo, si ritiene urgente definire – attraverso assemblee nei luoghi di lavoro e con il coordinamento delle rappresentanze sindacali del settore automotive – un piano condiviso di mobilitazione per la salvaguardia dei posti di lavoro e del futuro industriale del territorio. Sull’esito del summit con Filosa, il segretario della Uilm, Francesco Guida, sottolinea: «Al momento c’è solo rammarico. Rammarico perché non si stanno facendo scelte. Nell’incontro di lunedì scorso, l’amministratore delegato ha sì e no accennato a Termoli, ma è evidente che tutto è legato ai tempi e alle decisioni della politica europea. Se non cambieranno le norme che regolano il futuro dell’auto elettrica, rischiamo seri problemi sui territori. C’è grande delusione, perché Termoli si aspettava nuove produzioni — che fossero motori tradizionali, cambi o la stessa Gigafactory — ma oggi, così com’è, non c’è lavoro per tutti. Siamo in un limbo. Negli Stati Uniti le scelte industriali sono già state fatte, perché lì esistono norme più favorevoli al settore automobilistico. In Europa, invece, con regole che definirei folli, rischiamo di far chiudere uno dei comparti più importanti, quello dell’automotive, che dà lavoro a milioni di persone. E non parlo solo dei lavoratori diretti, ma anche dell’indotto: mensa, logistica, manutenzione. Realtà spesso invisibili, ma che già oggi subiscono licenziamenti. Di loro non si parla mai, ma sono la prima linea di un sistema che si sta sgretolando. I tempi previsti dal piano Dare Forward 2030 di Tavares erano irrealistici. Lo dicemmo già allora: anticipare al 2030 il passaggio totale al full electric non era fattibile, né in Europa né tantomeno in Italia. Mancano le infrastrutture: colonnine, rete energetica, un sistema che supporti davvero l’auto elettrica. Parlare oggi di revisione di quel piano è semplicemente logico. L’unica soluzione percorribile, oggi, è l’ibrido: può rappresentare una fase di transizione verso l’elettrico, ma serve un periodo di “neutralità tecnologica”, in cui sia il consumatore a scegliere liberamente. A febbraio siamo stati a Bruxelles e lo abbiamo detto chiaramente: le auto non si vendono per legge. Devono essere i cittadini a scegliere, mentre la politica deve sostenere il sistema industriale. Altrimenti, nel giro di pochi anni, rischiamo di ritrovarci con un’industria chiusa e il mercato invaso da auto cinesi. È questo lo scenario che ci attende se l’Europa non prenderà decisioni serie e coordinate su un settore strategico. Da un lato assistiamo alla prova muscolare di Trump, che si confronta con tutto il mondo — ma in particolare con l’Europa — difendendo il suo sistema produttivo. Dall’altro, abbiamo un’Unione Europea divisa: ogni Paese difende le proprie produzioni e i propri interessi. Basti pensare che proprio oggi Spagna e Francia hanno ribadito di non voler modificare le date per il passaggio all’elettrico. Significa che l’Europa deve trovare un equilibrio produttivo, industriale e tecnologico, invece di combattere guerre interne. Perché se continueremo così, la conseguenza sarà la distruzione del settore automobilistico europeo. Oltretutto, questo è un territorio che non è abituato a lottare davvero, a mobilitarsi in modo deciso. Forse molti pensano che lo stabilimento non chiuderà mai, che sia solo un ridimensionamento temporaneo o un modo per ottenere incentivi. Ma stavolta non è così. Questa volta è diverso. O si salva il settore automotive, oppure tra poco tempo parleremo di aziende chiuse. Non voglio spaventare nessuno, ma parlo con realismo».

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