A distanza di alcuni giorni dalle mobilitazioni a difesa dello stabilimento Stellantis di Termoli, torna alla carica il consigliere regionale del M5S Roberto Gravina, che evidenzia come «Il silenzio e l’immobilismo del Governo sta regalando la Gigafactory di Termoli ad altri Paesi. Urgono produzioni immediate e commesse certe». La manifestazione di sabato 29 novembre a Termoli, con un’adesione importante e una partecipazione trasversale di lavoratrici, lavoratori e cittadini, ha ribadito una verità semplice: il Molise non è disposto a rassegnarsi al declino industriale, e non accetterà in silenzio la rinuncia alla Gigafactory decisa politicamente dal Governo». È quanto dichiara il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Roberto Gravina, che torna a chiedere «un intervento diretto della Presidenza del Consiglio, l’unico livello che oggi può ancora costruire un piano credibile per salvare la produzione di batterie a Termoli e garantire un futuro all’automotive italiano». «Sabato eravamo in piazza a Termoli, insieme ai rappresentanti locali del Movimento 5 Stelle, per sostenere con forza la manifestazione dei sindacati, così come venerdì avevamo partecipato alla mobilitazione dell’USB. In questo momento ogni voce che difende il futuro industriale del territorio deve essere ascoltata. È un dovere esserci, non una passerella». Gravina richiama poi il caso della joint venture Stellantis–CATL in Spagna, nata con un investimento di circa 4,1 miliardi di euro e destinata a produrre fino a 50 GWh entro il 2026/2027: «Quello spagnolo è un esempio lampante di cosa significa avere una strategia industriale chiara e lungimirante. Lì si discute di 2.000 tecnici cinesi ospitati temporaneamente, servizi dedicati, formazione, infrastrutture e soprattutto 3.000 nuovi posti di lavoro stabili. È così che si entra nella transizione, non prendendo tempo o scaricando responsabilità». Secondo Gravina, il comportamento di Stellantis conferma un problema tutto italiano: «Per mesi Stellantis ha sostenuto che la produzione elettrica non fosse sostenibile, soprattutto quando si parlava di Termoli. Poi abbiamo visto lo stesso gruppo siglare un accordo enorme per una fabbrica identica in Spagna. La domanda è inevitabile: perché lì sì e qui no? Non ci dicano che è per il costo dell’energia». La risposta, per il consigliere M5S, «sta nella differenza tra governi che trattano con autorevolezza e governi che restano in silenzio. Madrid ha imposto condizioni e costruito un piano industriale; il Governo italiano ha scelto l’inazione. Da mesi chiediamo che il Governo convochi Stellantis e apra una trattativa vera. Il Ministro Urso ha fallito anche su questo. Ma ora non è più il tempo dei colpevoli: è il tempo di agire». «Un altro elemento emerso chiaramente dalla manifestazione – sottolinea Gravina – è l’urgenza di garantire produzioni immediate e commesse nel prossimo futuro. Perché qui non si tratta solo della Gigafactory: senza un piano industriale chiaro, senza carichi di lavoro certi, tra pochi mesi ci ritroveremo con stabilimenti vuoti e reparti senza attività. È un grido d’allarme che arriva dai lavoratori e che il Governo non può continuare a ignorare». Gravina evidenzia anche le contraddizioni del presidente Roberti: «Da sindaco di Termoli ripeteva che bisognava seguire con attenzione l’iter della Gigafactory. Da presidente della Regione non solo non ha seguito nulla, ma non ha mai realmente aperto bocca mentre il progetto veniva lentamente smontato. E vale la pena ricordarlo: quando la Gigafactory fu annunciata, Roberti non espresse una sola perplessità sull’elettrico o sui costi energetici, argomenti che oggi usa come scusa per giustificare l’inerzia». Il consigliere M5S interviene anche sulla narrazione distorta che sta circolando in questi giorni: «Basta falsità sulla fusione FCA–PSA. L’investimento si realizzerà in Spagna, non in Francia. E soprattutto si finisca di prendere in giro la gente: all’epoca della fusione non esistevano norme per agire contro una scalata, mentre lo Stato francese era già nel capitale di PSA per averla salvata dal fallimento. Chi oggi racconta un’altra versione mente scientemente». E ancora: «Qualcuno svegli Urso, Roberti e il senatore Della Porta, che per mesi ci hanno regalato fotografie inutili al Ministero, per poi sparire di fronte alla realtà dei fatti. ACC aveva lasciato intendere che, se supportata, avrebbe potuto continuare l’investimento, ma evidentemente non interessa a questa maggioranza di centrodestra, forse troppo concentrata sul settore della difesa come nuovo paradigma dell’industria italiana». Sul piano strettamente industriale Gravina avverte: «La scelta governativa di non sostenere la Gigafactory non riguarda solo Termoli. La produzione di batterie è la condizione per mantenere in Italia la manifattura automobilistica. Se il cuore dei veicoli elettrici lo si produce altrove, gli stabilimenti italiani diventano marginali. Rinunciare a Termoli significa perdere una parte strategica della filiera, ridurre l’attrattività dei nostri siti, lasciare campo libero a Paesi più competitivi e sacrificare un territorio che da cinquant’anni sostiene la produzione nazionale. Termoli non può essere trattata come uno stabilimento sacrificabile e l’immobilismo politico sta scegliendo per noi la strada peggiore». Per invertire la rotta, secondo Gravina, occorre fare ciò che altri Paesi hanno già fatto: «Calmierare i costi dell’energia, sostenere le imprese energivore, investire in formazione, innovazione e infrastrutture. In Italia sembra che ogni scelta possa essere rinviata all’infinito, come se la transizione industriale potesse aspettare». «Per questo – conclude – il Governo convochi immediatamente un tavolo permanente con Stellantis, Regione Molise, sindacati e Ministeri competenti. La grande mobilitazione dei lavoratori è stata un segnale politico chiarissimo: loro stanno facendo la loro parte, ora tocca alle istituzioni. Il Molise merita risposte, merita investimenti, merita futuro. E la Gigafactory di Termoli può e deve ancora essere salvata». A uscire allo scoperto, sempre a margine delle manifestazioni di protesta dello scorso weekend, anche il Partito comunista dei lavoratori. «La grande manifestazione del 28 novembre scorso a Termoli ha dato rilievo alla difesa del lavoro di automotive ed indotto, in particolare della produzione dell’8 e 16 valvole e del motore T4, denunciando come la realizzazione della Gigafactory si sia ridotta a ingannevole propaganda per prendere tempo. Per poter meglio affrontare la questione, va detto che il quadro generale della “crisi automotive” dove si inserisce la vertenza di Termoli, non è per assenza di utili dei padroni che sono invece cospicui come gli incentivi pubblici, né ad incapacità produttiva, ma deriva essenzialmente dall’ingiusto ed irrazionale sistema capitalistico che genera per sua natura fenomeni di “sovrapproduzione” , non perché si produce più di quanto le popolazioni abbiano bisogno, bensì perché con la riduzione massiva dei salari reali e dei livelli reddituali unita ad altre cause, si spezza la catena tra produzione e vendita, portando al drastico calo del mercato, che i padroni poi scaricano sui lavoratori. La crisi che oggi prende anche Termoli è dentro quella del mercato europeo compresa la Volkswagen con gli operai in lotta contro i licenziamenti, come quelli di italiani rispetto alla Stellantis. E si aggrava tale contesto per i capitalisti europei già in concorrenza tra loro, se si pensa che: la conversione con le auto elettriche nel quadro europeo secondo le stime ufficiali ha un costo del 40% in più; la concorrenza del capitalismo cinese anche sull’auto elettrica è secondo la SVIMEZ tecnologicamente più avanti anche di quello USA; peraltro con maggiori sostegni pubblici là dove i gruppi capitalistici occidentali sono concorrenza tra loro anche per accaparrarsi i fondi pubblici fermi per i veti incrociati tra essi. Il governo post missino di Meloni, come del resto i governi di “centrosinistra” , come gli altri governi europei, per la loro natura di classe non fanno altro che supportare i padroni perché la proprietà privata dei grandi mezzi di produzione è sacra, per la loro ideologia. Se questo è il quadro sarà difficile frenare le decisioni dei capitalisti, senza un fronte unico di lotta operaia che anche da Termoli si inserisca in un percorso tale da organizzare un coordinamento dei lavoratori di tutte le vertenze dell’automotive in Italia e in Europa, con mobilitazioni e scioperi unitari dei lavoratori, manifestazioni non frammentate tra le varie sigle sindacali. Si badi, questo appello alle mobilitazioni unitarie non significa affatto fare accordi burocratici e tanto meno concessioni a piattaforme subalterne e concertative; al contrario, si tratta di uscire da dannose logiche di sigla sindacale autocentrata, come momento per costruire un fronte unico di lotta dei lavoratori a prescindere dalla sigla sindacale di appartenenza, nel quale portare ai lavoratori una piattaforma anticapitalista. Solo un fronte unico dei lavoratori, da Termoli come nelle altre realtà in mobilitazione contro i licenziamenti, contro padroni e contro il loro governo (oggi di Meloni), può creare quella forza uguale e contraria in grado di pressare per un piano industriale sotto il controllo dei lavoratori, che fermi i licenziamenti dell’automotive, con forme di lotta radicali a partire dalla occupazione degli stabilimenti, creando un ponte con la rivendicazione più in prospettiva della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano e delocalizzano. I fatti ci insegnano: solo quando i padroni hanno avuto paura di perdere tutto, i lavoratori non solo hanno difeso l’essenziale le immediate ma anche strappate grandi conquiste per il futuro migliore».

























