In attesa di conoscere nel dettaglio il nuovo piano industriale – e ci vorrà tempo – l’intervento di Antonio Filosa, amministratore delegato di Stellantis, alla Goldman Sachs Industrial & Auto Conference ha offerto uno spaccato lucido sulla fase che il gruppo sta attraversando e sulle scelte strategiche che ne segneranno il futuro. Un passaggio, più di tutti, ha attirato l’attenzione: la critica alla strategia sull’elettrico, e indirettamente alle decisioni che portarono a individuare Termoli come sede della Gigafactory italiana di Acc.
Filosa ha parlato con toni pragmatici, senza enfasi né slogan, mettendo sul tavolo ammissioni, correzioni di rotta e nuovi indirizzi. Al centro del suo messaggio c’è un punto chiaro: la trasformazione dell’automotive non può più essere raccontata come una corsa lineare verso l’elettrico, ma deve fare i conti con la realtà dei mercati, con le esigenze dei consumatori, con i costi industriali e con il quadro geopolitico. «Alcune delle ipotesi su cui si basavano le strategie elettriche erano sbagliate», ha ammesso il Ceo, frase che ha fatto rapidamente il giro delle testate economiche.
La questione, nelle sue parole, non riguarda solo la frenata globale sull’auto elettrica, ma il fatto che la domanda reale non cresce ai ritmi previsti, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Da qui la necessità di rivedere i piani: più equilibrio, più gradualità, un portafoglio tecnologico più ampio. In quest’ottica si inserisce il rilancio dell’ibrido sul mercato americano: «We truly believe that hybrid is going to be one of the favorite powertrains in the U.S.», ha dichiarato, precisando che la strategia non punterà sui plug-in, ritenuti troppo costosi per il consumatore medio, ma sugli ibridi standard, considerati più accessibili e più coerenti con l’evoluzione del mercato nordamericano.
Una parte significativa del suo intervento ha riguardato l’Italia. Filosa ha ribadito che Stellantis sta mantenendo gli impegni assunti, snocciolando numeri e decisioni: oltre 120 assunzioni nel polo ingegneristico di Mirafiori, altre 120 nello stabilimento di Atessa per i veicoli commerciali e l’avvio della produzione dei nuovi modelli DS N8 e Jeep Compass a Melfi. Una risposta indiretta ma evidente alle pressioni del governo italiano, che da mesi chiede garanzie su investimenti, occupazione e volumi produttivi.
Lo sguardo si è poi spostato sul futuro più ampio del gruppo. Filosa ha annunciato che entro la metà del primo semestre 2026 si terrà il Capital Market Day, durante il quale verrà presentato il nuovo piano strategico di Stellantis. In questo contesto ha pronunciato una delle frasi più riprese: «Ogni brand ha un suo superpotere». Un modo per sottolineare che la forza del gruppo risiede nella diversità delle sue marche – da Alfa Romeo a Jeep, da Peugeot a Fiat – ciascuna con una propria identità e un potenziale da valorizzare.
In una parentesi più leggera, alla domanda su cosa potrebbe cambiare tra un anno, Filosa ha risposto: «Spero non il CEO», battuta che ha strappato un sorriso alla platea ma che molti hanno interpretato come segnale di continuità e fiducia nella linea che sta tracciando.
Sul fronte dei risultati, il manager ha respinto ogni tentazione di trionfalismo: «A fine novembre siamo in linea con le guidance fissate per il 2025, ma non voglio anticipare nulla. Il lavoro è fatto quando è fatto». Una prudenza legata all’incertezza macroeconomica e alla volatilità dell’automotive, settore attraversato da pressioni regolatorie, concorrenza cinese, aumento dei costi energetici e fragilità delle catene di fornitura.
L’intervento alla Goldman Sachs Conference ha mostrato un Filosa concreto, distante dalla narrativa dell’“era tutta elettrica”, deciso a riportare Stellantis su un terreno di pragmatismo industriale. Ha rivendicato ciò che è stato fatto, riconosciuto gli errori, indicato una nuova direzione: più equilibrio tecnologico, maggiore attenzione ai mercati reali, investimenti mirati e una presenza rafforzata in Italia.
In un momento di trasformazione profonda per l’automotive, le sue parole rappresentano insieme un segnale di rottura e di stabilità: meno ideologia, più industria.

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