Non c’è tregua nel mondo ittico. Le principali organizzazioni di categoria e sindacali del settore ittico insorgono contro la deroga natalizia al divieto di pesca: «Procedimento anomalo, lesivo della rappresentatività e contrario alla prassi ministeriale» Un fronte compatto, senza incrinature, quello che nelle ultime ore ha deciso di alzare la voce contro la Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura del Masaf. AGCI Pesca e Acquacoltura, Confcooperative Fedagripesca, Legacoop Agroalimentare, Coldiretti Pesca, Federpesca, Fai Cisl, Flai Cgil e Uilapesca hanno infatti sottoscritto una contestazione formale indirizzata al Direttore generale Francesco Saverio Abate, chiedendo il ritiro immediato della nota prot. n. 659471 del 4 dicembre 2025, con cui l’Amministrazione ha concesso una deroga al divieto di pesca con attrezzi trainati (OTB, OTT, TBB) nelle giornate del 25 e 26 dicembre e nei fine settimana. Una decisione che, secondo le parti sociali, non solo vìola la normativa e la prassi consolidata, ma mina la stessa architettura della rappresentanza nel settore, aprendo un precedente giudicato «inaccettabile» e potenzialmente destabilizzante per l’intero comparto. Il cuore della contestazione riguarda il procedimento adottato dalla Direzione Generale, ritenuto anomalo e contrario al principio della rappresentatività comparata, cardine del D.M. n. 124436 del 18 marzo 2025 firmato dal Ministro Lollobrigida. Quel decreto, ricordano le Organizzazioni, stabilisce in modo chiaro che eventuali deroghe alla pesca nei fine settimana devono poggiare su accordi condivisi dalle parti sociali comparativamente più rappresentative del settore. Eppure, nel caso della deroga natalizia, l’Amministrazione ha scelto di basarsi su una richiesta proveniente da una sola organizzazione di categoria, l’UNCI, fondata su un accordo sindacale non condiviso e privo del peso contrattuale necessario per incidere su un tema così delicato come lo sforzo di pesca e il riposo settimanale dei lavoratori marittimi.
Le parti sociali ricordano come la giurisprudenza, la prassi amministrativa e le indicazioni del Ministero del Lavoro abbiano sempre riconosciuto esclusivamente alle Organizzazioni firmatarie dei Ccnl di settore la titolarità negoziale in materia di condizioni di lavoro, orari, turnazioni e deroghe. Un principio ribadito più volte negli anni e che costituisce la base stessa dell’equilibrio tra tutela dei lavoratori, sostenibilità dello sforzo di pesca e competitività delle imprese. Scavalcare questo assetto, affermano le Organizzazioni, significa indebolire la contrattazione collettiva nazionale e aprire la porta a decisioni unilaterali che rischiano di frammentare il settore e generare conflitti interni.
A rafforzare la contestazione interviene anche il richiamo ai dati ufficiali del Cnel, che certificano la marginalità del Ccnl sottoscritto da Unci Agroalimentare e Confsal. Secondo le parti sociali, la platea di lavoratori cui si applica quel contratto è numericamente irrilevante rispetto alla totalità del personale imbarcato nel comparto pesca. Affidare a un accordo così poco rappresentativo la possibilità di incidere su questioni che riguardano l’intera flotta nazionale – dalle condizioni di lavoro al riposo settimanale, fino alla gestione dello sforzo di pesca – è, secondo le Organizzazioni, un atto che svilisce il ruolo delle parti comparativamente più rappresentative e mette a rischio la stessa legittimità del sistema contrattuale.
La nota del 4 dicembre, proseguono le sigle firmatarie, non solo appare priva dei presupposti giuridici necessari, ma risulta anche lesiva della trasparenza amministrativa e dell’equità concorrenziale. Una deroga concessa in questo modo, infatti, altera il quadro competitivo tra imprese, crea disparità operative tra flotte che insistono sugli stessi stock e introduce un elemento di incertezza nella gestione dello sforzo di pesca, proprio in un momento in cui il settore è già sottoposto a pressioni regolatorie senza precedenti da parte dell’Unione Europea. Per queste ragioni, le Organizzazioni hanno deciso di formalizzare una richiesta netta e inequivocabile: il ritiro immediato della nota prot. n. 659471 e il ripristino della corretta prassi di concertazione istituzionale. Una richiesta che non ha il tono della polemica, ma quello della difesa di un principio cardine: la rappresentatività non è un dettaglio burocratico, ma la garanzia che le decisioni che incidono sulla vita dei lavoratori e delle imprese siano assunte in modo equilibrato, trasparente e condiviso.
Il settore della pesca, già provato da anni di riduzioni dello sforzo, normative stringenti e incertezze economiche, non può permettersi scelte amministrative che alimentano divisioni e indeboliscono la coesione interna. Da qui l’appello delle parti sociali al Direttore generale Abate affinché intervenga tempestivamente per correggere il procedimento e ristabilire un metodo fondato sul rispetto delle regole, della rappresentanza e della responsabilità istituzionale.

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