Rompe il silenzio anche Acc, sulla revisione del piano Ue nel comparto automotive. L’annuncio della Commissione europea di un piano di supporto da 1,5 miliardi di euro a favore dei produttori europei di batterie segna un passaggio politico e industriale di rilievo nel complesso percorso di elettrificazione della mobilità nei 27 Stati membri. Una decisione che, al di là della dimensione finanziaria, certifica un cambio di passo nell’approccio dell’Unione alla transizione ecologica dell’automotive: meno ideologia, più realismo industriale. I fondi, che verranno assegnati sotto forma di prestiti a interesse zero, sono destinati a sostenere realtà strategiche come Acc (Automotive Cells Company) e altri pionieri europei del settore, consentendo loro di proseguire nel ramp-up produttivo e di garantire la fornitura di componenti essenziali per i veicoli elettrici “Made in Europe”. L’obiettivo è chiaro: rafforzare l’autonomia industriale europea in un comparto chiave, riducendo la dipendenza da filiere extra-UE e mantenendo sul continente valore, occupazione e competenze. Acc ha accolto con favore l’iniziativa della Commissione, sottolineando come il piano annunciato dal vicepresidente Stéphane Séjourné adotti finalmente un approccio pragmatico, capace di tenere insieme le esigenze della domanda e i vincoli dell’offerta. In un mercato ancora instabile, segnato da rallentamenti nella domanda di veicoli elettrici e da una competizione globale sempre più aggressiva, il sostegno pubblico diventa uno strumento indispensabile per evitare che l’Europa perda terreno proprio nel momento più delicato della trasformazione. Non meno rilevante è il messaggio politico che accompagna il piano sulle batterie. La Commissione europea, infatti, ha avviato una revisione del Regolamento sulle emissioni delle auto, introducendo un obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni medie di flotta rispetto ai livelli del 2021, in luogo dell’azzeramento totale previsto inizialmente per il 2035. Una scelta che è stata salutata positivamente da numerosi rappresentanti istituzionali e del mondo produttivo. «Rappresenta un passo importante e va nella giusta direzione», ha commentato l’assessore regionale Andrea Di Lucente, sottolineando come questa decisione non debba essere letta come una marcia indietro sull’elettrico, ma come il riconoscimento dei limiti di una “transizione forzata”, troppo spesso disallineata rispetto alle reali capacità dell’economia, delle infrastrutture e dei sistemi energetici europei. Aprire ufficialmente a biocarburanti avanzati, carburanti sintetici certificati (e-fuels) e a soluzioni ibride evolute significa, in questa prospettiva, puntare a una decarbonizzazione concreta e misurabile. Una strategia che mira a ridurre realmente le emissioni complessive, evitando di distruggere valore industriale e occupazionale lungo una filiera che in Europa coinvolge milioni di lavoratori. In questo contesto tornano di straordinaria attualità le riflessioni che per anni Sergio Marchionne aveva affidato al dibattito pubblico. L’allora amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles, e successivamente presidente e Ceo di Ferrari, aveva più volte messo in guardia dall’illusione dell’elettrico come soluzione unica. «L’elettrico può essere una parte della risposta, ma non è la risposta», sosteneva Marchionne, richiamando la necessità di un mix tecnologico, di infrastrutture adeguate e di una produzione energetica realmente pulita. Il rischio, spiegava, era quello di spostare le emissioni anziché ridurle, compromettendo nel frattempo un’intera filiera produttiva europea. A distanza di anni, quelle parole appaiono oggi quasi profetiche. La nuova impostazione europea sembra raccogliere finalmente quell’invito al realismo, riconoscendo che la sostenibilità ambientale non può essere perseguita ignorando la sostenibilità economica e sociale. La revisione delle politiche europee rappresenta, dunque, una boccata d’ossigeno per migliaia di lavoratori dell’automotive e per territori che stanno vivendo una fase di profonda incertezza. È il caso dello stabilimento Stellantis di Termoli, simbolo di una grande tradizione motoristica italiana, oggi al centro di scelte strategiche che avranno un impatto determinante sul futuro occupazionale e produttivo del Molise. In realtà come Termoli, la transizione ecologica non è un concetto astratto, ma una questione concreta che riguarda posti di lavoro, competenze tecniche, investimenti e prospettive di sviluppo. Una transizione tecnologicamente neutra, meno ideologica e più aderente alla realtà industriale, può offrire margini più ampi per governare il cambiamento, evitando che la riconversione si traduca in una vera e propria desertificazione industriale. Difendere l’ambiente, del resto, non può significare sacrificare il lavoro né indebolire l’industria europea a vantaggio di produzioni extra-UE che non rispettano gli stessi standard ambientali e sociali. Senza un adeguato equilibrio, il rischio è quello di delocalizzare non solo la produzione, ma anche le emissioni, perdendo al contempo sovranità industriale. La sfida che si apre ora è tutta nell’attuazione. Come sottolineato dagli stessi produttori di batterie, le misure annunciate dovranno essere semplici, mirate e dispiegate con la massima rapidità. Solo così il piano da 1,5 miliardi potrà tradursi in investimenti reali, nuovi impianti, occupazione qualificata e innovazione tecnologica. La revisione del quadro normativo europeo offre un’opportunità concreta anche per l’Italia e per i suoi poli industriali strategici. Ma perché questa occasione non venga sprecata, serviranno coerenza, visione e capacità di accompagnare la transizione con politiche industriali solide. Il futuro dell’automotive europeo, e di territori come Termoli, dipenderà dalla capacità di tenere insieme ambiente, lavoro e industria. Non come obiettivi in conflitto, ma come pilastri di una stessa strategia di sviluppo sostenibile.

























