La crisi della ex Del Giudice entra nella fase più dura e definitiva: dopo mesi di incertezza, sospensioni, cassa integrazione e promesse di riorganizzazione, la nuova gestione ha formalmente aperto la procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della Legge 223/1991, comunicando tramite Pec alle rappresentanze sindacali e all’Ispettorato Territoriale del Lavoro l’intenzione di espellere dall’organico 15 lavoratori dichiarati “strutturalmente eccedenti”. La società, guidata dal legale rappresentante Bernardo Pittalis, sostiene che la ristrutturazione interna comporti la dismissione di interi settori produttivi nei quali quelle maestranze erano impiegate, rendendo — secondo la versione aziendale — impossibile il ricorso a strumenti alternativi come cassa integrazione, contratti di solidarietà o riduzioni generalizzate dell’orario. L’organico attuale è composto da 53 dipendenti, ma la nuova organizzazione prevede un taglio netto che coinvolge profili diversi: impiegati, addetti di laboratorio, casari, manutentori, magazzinieri, tecnici, fino a figure storiche con decenni di anzianità. La procedura apre ora una finestra di sette giorni per l’avvio dell’esame congiunto con le organizzazioni sindacali, che potranno contestare numeri, criteri e motivazioni, ma il clima è già tesissimo: ieri era previsto l’incontro decisivo, quello in cui la nuova gestione avrebbe scoperto le carte e i sindacati avrebbero cercato di evitare l’ennesima ferita occupazionale sul territorio. La comunicazione arriva mentre 18 lavoratori sono ancora a casa, in cassa integrazione ordinaria anticipata dall’azienda, in attesa di un accordo che non è mai arrivato: per molti di loro, la procedura 223 potrebbe tradursi in un licenziamento immediato, senza alcuna prospettiva di ricollocazione interna. A questo si aggiunge un altro nodo irrisolto che pesa come un macigno: nessun dipendente ha ancora ricevuto il Tfr maturato con la precedente gestione, che dovrebbe essere liquidato dalla procedura fallimentare, ma i tempi si allungano e le famiglie restano senza risposte, senza certezze e senza le spettanze che spettano loro per legge. La comunità di Termoli assiste così all’ennesimo passaggio critico di una vicenda che ha già segnato profondamente il tessuto produttivo locale: un marchio storico, un comparto identitario, decine di famiglie sospese tra cassa integrazione, stipendi ridotti, Tfr non pagati e ora una procedura di licenziamento collettivo che rischia di cancellare professionalità costruite in trent’anni di lavoro. L’esito dell’incontro di domani non sarà solo un passaggio tecnico, ma un momento di verità per capire se esistono margini di trattativa o se la nuova gestione intende procedere senza arretrare di un millimetro. Per i lavoratori coinvolti, non è una vertenza come le altre: è la difesa del proprio futuro, della propria dignità professionale e del legame con un’azienda che per decenni ha rappresentato un pilastro dell’economia molisana. Per il territorio, è un test di responsabilità collettiva, istituzionale e politica, perché nessuno potrà dire di non aver saputo. «La notizia della procedura di licenziamento avviata dalla Ex Del Giudice di Termoli, dopo un lungo periodo di attese e incertezza, nei confronti di 15 lavoratori provoca sgomento e indignazione. Serve una reazione immediata e unitaria da parte del territorio e delle istituzioni a questa decisione che getta nel panico troppe famiglie a soli pochi giorni dal Natale».  Lo dichiara in una nota il segretario regionale di Sinistra Italiana Vincenzo Notarangelo. «I lavoratori non sono numeri che si possono cancellare attraverso una Pec e il Molise non è una terra da sfruttare e svuotare per fare affari, ma una comunità di persone che meritano rispetto assoluto. Piena fiducia e sostegno ai sindacati, auspico – conclude – un immediato intervento da parte dei vertici regionali e dei nostri rappresentanti in Parlamento, la politica non può voltarsi dall’altra parte e far finta di nulla».

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