È stata trasferita ieri mattina dall’obitorio del “Cardarelli” di Campobasso a quello dell’ospedale “San Pio” di Benevento la salma di Cosimo Ocone, il 15enne ucciso dal padre Salvatore insieme alla madre Elisa Polcino nella tragedia familiare di Paupisi. La Procura di Benevento, che ha assunto la titolarità dell’inchiesta, ha disposto anche per il giovane l’autopsia, eseguita dal medico legale Francesco La Sala, lo stesso che martedì aveva effettuato l’esame sul corpo della madre.
Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, Salvatore Ocone avrebbe colpito il figlio con la stessa pietra di dodici chili utilizzata per uccidere la moglie nel sonno, per poi trascinare i corpi della donna e della figlia Antonia fino all’auto, una Opel Mokka, con la quale ha tentato la fuga, interrotta grazie all’intervento delle forze dell’ordine nelle campagne di Ferrazzano.
Cosimo frequentava il primo anno dell’Istituto Tecnico Industriale Lucarelli di Benevento, la stessa scuola che aveva frequentato in passato il fratello maggiore Mario, oggi 23enne, che si è salvato solo perché in quei giorni si trovava per lavoro a Rimini.
Proprio il fratello maggiore ha deciso di nominare come legale l’avvocato Nicodemo Gentile, noto penalista e cassazionista, esperto in diritto dell’immigrazione e da anni impegnato in casi di grande rilievo nazionale. È stato legale in alcuni tra i processi più seguiti d’Italia, tra cui quelli per l’omicidio di Meredith Kercher, di Melania Rea, della contessa dell’Olgiata, di Sarah Scazzi, dei fidanzati di Pordenone, di Roberta Ragusa, di Guerrina Piscaglia e di Sara Di Pietrantonio.
Il 6 ottobre, Gentile scriveva: «La settimana scorsa ho ricevuto incarico da parte di Mario Ocone di rappresentarlo nella drammatica vicenda familiare. L’omicidio della mamma e del fratellino, il grave ferimento della sorella: è la più crudele delle sciagure. Mario e i suoi familiari hanno subito un’amputazione affettiva eterna, un dolore che non conosce tregua, maturato proprio lì dove ci si aspetta protezione e conforto: nella propria casa. Con il cuore colmo di trepidazione e speranza, ci auguriamo che questa catastrofe umana non si aggravi ulteriormente. Serve un sostegno totale, concreto, rivolto a ciò che resta di una famiglia tragicamente dimezzata. Abbiamo piena fiducia che una Procura seria, esperta e qualificata come quella di Benevento saprà ricostruire con rigore e completezza la verità dei fatti e le dinamiche, anche psicologiche, che li hanno generati».
Lo stesso legale, martedì scorso, ha poi affidato ai social una riflessione intensa e personale, scritta a ridosso degli accertamenti medico-legali sul corpo del ragazzo: «Ho attraversato tante sciagure nella mia vita professionale. Eppure nel giorno dedicato agli accertamenti medico-legali, mi sentivo inquieto. Cercheremo di capire, per quanto umanamente e tecnicamente possibile, come è morto il piccolo Cosimo. Un nome che da giorni mi abita dentro, senza tregua. Accade a volte. Ci sono casi in cui la corazza professionale è una ben misera alleata. Quando la pietà ti prende alla gola, e vorresti essere altrove. Lontano da quell’odore sconveniente di morte che sale dai fascicoli, da quelle carte fredde e impietose chiamate “rilievi tecnici irripetibili”. È l’anatomia del delitto: tutto ridotto a misure, orari, distanze, oggetti. La burocrazia della morte. Ma tu sei lì. Con i tuoi occhi, con la tua mente, e soprattutto con il tuo cuore. E l’indifferenza emotiva del professionista fa a pugni con la sensibilità dell’uomo. Sarà che gli anni iniziano a pesare, sarà la stanchezza, ma a volte, di fronte a certi eventi, sento il fiato corto. Un peso sul petto che non va via. Da giorni penso a Cosimo. Al piccolo Cosimo. A sua sorella Antonia. Penso a quell’attacco vigliacco. Al buio che li ha avvolti. Alla paura, all’impotenza, alla vita che si interrompe senza un perché. Penso alla sfortuna, alle culle giuste o sbagliate. Penso a chi nasce in bilico, dentro fragilità economiche, sociali, familiari. Penso ai giovani che non hanno colpa, e che pagano tutto. E mi sento desolato. Un viandante nella bufera della vita, in cerca di senso tra la rabbia e il dolore. Penso a Cosimo. E non solo a lui. Penso a tutti i volti che non ce l’hanno fatta. E mi sento nudo. Sospeso. Essere un avvocato, in certi casi, non basta – spiega -. Serve essere prima di tutto umani. E oggi, umanamente, mi sento solo questo: addolorato. E profondamente inadeguato».
Le sue parole condivise sui social restituiscono la dimensione più umana di una tragedia che ha scosso il Molise e l’intero Sannio. Una vicenda familiare che continua a lasciare dietro di sé dolore, incredulità e un profondo senso di smarrimento.
























