Immagini che parlano da sole, di inaudita violenza, quelle che hanno fatto il giro di WhatsApp e che hanno sconvolto tutti, aprendo una ferita profonda nel tessuto sociale della comunità di Santa Croce di Magliano. Il “branco” che accerchia, agisce e aggredisce un quattordicenne è composto presumibilmente da suoi coetanei: nelle frasi che precedono la brutale azione di gruppo, infatti, si fa riferimento a interrogazioni scolastiche. La notte è quella del 6 dicembre, ma il ragazzo si è recato all’ospedale solo 4 giorni dopo. Poi è stato dimesso.
Immagini durissime: prima i cazzotti, poi, una volta a terra e ormai indifeso, il ragazzo viene preso a calci, come nelle scene delle fiction più efferate. Ma stavolta è realtà, cruda e concreta. Così come reali sono i danni riportati: una lesione al timpano, oltre ad altre ferite. Non meno grave è il ruolo degli “spettatori”, chiamiamoli così, almeno due, che assistono alla scena e la filmano da diverse angolazioni, come se fossero in prima fila al cinema o comodamente seduti sul divano di casa a seguire una serie televisiva. Sono le rovine di una società in ebollizione, che si disgrega.
L’adolescente, che al di là dei danni fisici – ci auguriamo possa riprendersi completamente – resterà segnato anche sul piano psicologico, è stato accompagnato al Pronto soccorso dell’ospedale San Timoteo di Termoli dai genitori. Una denuncia è stata presentata ai Carabinieri della locale stazione che, insieme ai colleghi della Compagnia di Larino, stanno indagando su delega della Procura presso il Tribunale per i Minorenni.
Quanto accaduto è di una gravità estrema. Uno spaccato che associa l’entroterra molisano alle baby gang delle grandi città. Proprio ieri il Tg5 rilanciava l’ennesimo campanello d’allarme parlando di Milano, Roma e Napoli, senza ancora avere contezza di quanto avvenuto anche nel piccolo Molise. Qui, episodi del genere assumono un significato ancora più profondo: i video durano quasi due minuti. Possibile che nessuno sia passato di lì o abbia sentito nulla? L’omertà è complicità.
Ma quanto accaduto potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più ampio, proprio a Santa Croce di Magliano. Come spesso accade, si innesca un effetto domino e iniziano ad emergere altri episodi: alcuni risalenti all’estate scorsa, altri a poche settimane fa. Sempre con ragazzi più deboli vessati e picchiati. Non sarebbe la prima volta che qualcuno finisce in ospedale. Così come non mancano atti vandalici diffusi.
«La situazione è gravissima», ci ha sottolineato una persona che conosce bene il tessuto sociale santacrocese. Ci sono madri che confessano apertamente: «Ho paura a stare qui e sono molto preoccupata quando mio figlio esce».
Nella serata di venerdì scorso, quando ha iniziato a circolare il materiale video, il silenzio pubblico – ormai assordante – è stato rotto dal sindaco Alberto Florio, che ha ritenuto opportuno ricondurre la drammatica vicenda entro binari istituzionali.
«In queste ore stanno circolando immagini e commenti relativi a episodi gravi che coinvolgono minori. Come sindaco ritengo doveroso chiarire alcuni aspetti fondamentali – ha affermato il primo cittadino –: il Comune e l’Amministrazione comunale non hanno competenze in materia di ordine pubblico né funzioni di polizia. Di fronte a fatti di questo tipo, il dovere istituzionale è quello di segnalare immediatamente alle autorità competenti, cosa che è stata fatta senza esitazione. La vicenda è ora all’attenzione delle forze dell’ordine, che stanno operando nelle sedi opportune. Proprio perché si tratta di situazioni estremamente delicate che coinvolgono ragazzi e famiglie, è fondamentale evitare processi mediatici, la diffusione dei video e strumentalizzazioni che rischiano solo di aggravare il danno e colpire ulteriormente i minori coinvolti. L’amministrazione comunale continuerà a collaborare con tutte le istituzioni competenti e a lavorare sul piano educativo, sociale e preventivo, nel rispetto della legge e della tutela dei più giovani. Chiedo a tutti senso di responsabilità, equilibrio e rispetto».
A intervenire anche l’ex sindaco Giovanni Gianfelice: «Fermiamoci un attimo e riflettiamo», ha dichiarato, ricordando come da tempo si registrino atti di vandalismo contro il patrimonio pubblico: dalla Villa comunale ai parchi gioco, dalla segnaletica stradale al verde, dai raccoglitori della differenziata alle pensiline, fino all’erogatore dell’acqua.
«Sono fenomeni che denunciai già anni fa con un manifesto pubblico, prendendomi le critiche dell’opposizione che mi accusava di mettere in cattiva luce la comunità», ha sottolineato Gianfelice, ribadendo la sua convinzione che «chi rompe deve ripagare ciò che ha rotto, se non altro per educare al rispetto di ciò che è pubblico e quindi di tutti».
L’ex primo cittadino ha ammonito sui rischi del lassismo: «Così si inizia e poi si finisce con il bullismo e addirittura con i pestaggi. Non si può continuare a girare la testa dall’altra parte, perché così si diventa complici».
Da qui l’appello forte: i ragazzi vanno educati, controllati e guidati, ricordando che la comunità offre già diverse opportunità sane e formative. «Abbiamo scuole funzionanti, strutture sportive, una scuola calcio, una Scuola civica di musica che tutta la Regione ci invidia, una biblioteca comunale fornitissima, la Parrocchia, il Centro comunitario, palestre e attività di intrattenimento. Non possiamo lamentarci più di tanto rispetto a paesi più piccoli», ha ricordato Gianfelice.
L’invito è chiaro: utilizzare con rispetto ciò che esiste, vivere le strutture con gioia, educazione e senso civico, restando uniti e rispettosi verso tutti. «Santa Croce deve tornare ad essere quella ridente e laboriosa cittadina che il Molise intero ha sempre ammirato e, oso dire, anche invidiato. Un altro futuro è possibile, ma dipende da ognuno di noi», ha concluso.
Interventi che hanno alimentato un acceso dibattito sui social e nei gruppi cittadini. Perché la violenza con cui è stato malmenato il ragazzo grida vendetta – giudiziaria, s’intende – in modo esemplare, affinché non si diffonda l’aura dell’impunità. Una risposta repressiva e deterrente è necessaria, così come si apre inevitabilmente il capitolo delle responsabilità genitoriali, soprattutto quando gli aguzzini sono così “junior”. Una docente del Basso Molise ha raccontato: «Quanto successo a Santa Croce mi ha sconvolto. Da docente, da educatrice, da madre, da cittadina. È necessario fare qualcosa affinché questi episodi non si verifichino e non si ripetano. Bisogna smetterla di cercare sempre alibi per giustificare questi giovani. Sentiamo dire che sono disorientati, annoiati, che il Paese offre poco. Questi alibi non devono esserci. Bisogna punire e condannare. L’educazione deve partire dalle famiglie, che devono controllare i propri figli. Da docente vedo ragazzi che sui cellulari giocano a videogiochi inauditi, dove per guadagnare punti si spaccia, si stupra, si ruba. È compito della famiglia vigilare. Poi è compito della scuola rafforzare l’educazione al rispetto dell’altro, delle diversità, valorizzando il bello di ciascuno. E infine è compito delle istituzioni vigilare e organizzare attività di sensibilizzazione ed educazione. È brutto da dire, ma bisogna iniziare a “emarginare” (mi sia concesso il termine) chi compie questi atti, per far capire che non si è “fighi” se si è violenti e senza regole». Infine, c’è un punto, nelle vicende che scuotono una comunità, in cui il problema non è più ciò che accade, ma ciò che si sceglie di non vedere. I video che circolano, le segnalazioni, le testimonianze su gruppi di giovanissimi che vandalizzano, intimidiscono e sfidano apertamente le regole non sono folklore né ragazzate. Sono il sintomo di una frattura sociale che da tempo si allarga sotto la superficie.
Invocare equilibrio e responsabilità è doveroso, soprattutto quando sono coinvolti minori. Ma l’equilibrio non può coincidere con la rimozione, né la responsabilità con il silenzio. Perché quando una comunità finge che il disagio non esista, quando minimizza per paura di “dare un’immagine sbagliata”, non fa altro che spostare il problema in avanti, rendendolo più grave e più difficile da governare.
Le baby gang non nascono dal nulla. Nascono dove mancano presìdi educativi, spazi di socialità, adulti credibili, prospettive concrete. Nascono dove il vuoto viene riempito dalla logica del branco, dalla ricerca di visibilità, dal bisogno di contare qualcosa, anche attraverso la sopraffazione.
La vera emergenza è l’assenza di una risposta strutturata. Servono politiche educative, presenza sul territorio, una rete tra scuola, famiglie, associazioni e istituzioni. Servono regole chiare e conseguenze proporzionate, ma anche opportunità reali di riscatto e appartenenza positiva.
Voltarsi dall’altra parte, oggi, non è neutralità: è una scelta politica. Significa accettare il degrado dello spazio pubblico, normalizzare la paura, lasciare che il disagio cresca indisturbato. Una comunità matura non grida allo scandalo e non chiude gli occhi. Guarda in faccia il problema e se ne assume la responsabilità, prima che sia troppo tardi.

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