Si è chiuso quasi due anni dopo il cerchio intorno ai protagonisti della vicenda che ha visto le Procure di Roma e Palermo indagare sul cosiddetto tesoro della famiglia Ciancimino.
E’ rinchiuso da ieri mattina nel carcere di Larino un 69enne che risiede a Termoli e che nell’ottobre di due anni fa venne coinvolto in una delicata inchiesta portata avanti dalla Procura di Roma e dove era accusato di agire da prestanome niente meno che per Massimo Ciancimino.
Vennero effettuate delle perquisizioni per cercare prove sul legame che si era stabilito col figlio dell’ex sindaco di Palermo don Vito, di cui gli inquirenti erano a caccia di un presunto tesoro da 115 milioni di euro ed ora, con somma sorpresa anche dei legali difensori, sono scattate le manette.
I magistrati delle Procure di Palermo e di Roma hanno richiesto misure cautelari per le persone indagate con l’accusa di riciclaggio, per aver permesso di investire cento milioni del bottino di don Vito, ex sindaco di Palermo e padre di Massimo, nella più grande discarica europea che si trova a Giina, una frazione di Bucarest, in Romania.
A guidare l’attività d’indagine in carico dalla direzione distrettuale antimafia di Roma è il magistrato Giuseppe Pignatone, che fu già procuratore aggiunto di Palermo nella vicenda che vide Massimo Ciancimino arrestato e i beni della sua famiglia sequestrati.
Il prestanome termolese, insieme ad altri fiduciari, avrebbe compiuto una serie di operazioni finanziarie e fittizie cessioni di quote per proteggere il capitale dall’intervento dello Stato italiano.
A rivelare le responsabilità del molisano anche intercettazioni telefoniche, tra cui quelle dell’estate 2012, intercorse con altri faccendieri su presunte vendite fittizie. Nella ricostruzione degli inquirenti vi sarebbero anche alcuni incontri, a Roma e a Bologna. Ad operare l’arresto il Ros del comando provinciale di Pescara.

























