Ogni giorno il loro pensiero va a quel figlio che non c’è più, la cui vita venne spezzata a soli trent’anni con un colpo di fucile all’alba dell’11 febbraio 2008 in una zona di campagna tra Morcone e Santa Croce del Sannio. A distanza di tanti anni, cosa è successo quella notte e soprattutto chi odiava Lucio Niro al punto da volerne la morte resta ancora un mistero. I genitori del giovane muratore di Baranello non si danno pace e chiedono a gran voce che su questa vicenda si faccia luce. Perché l’assassino non ha ancora un nome: il processo di primo grado celebrato al Tribunale di Benevento si è concluso ad aprile 2011 e l’unico imputato, il giovane agricoltore di Santa Croce del Sannio nonché amico della fidanzata di Niro, Domenico Felice, è stato assolto ai sensi del 530 secondo comma (non si è raggiunta la prova della sua colpevolezza) e ora è a piede libero.

“Come hanno potuto sostenere che è stato un incidente? Noi non proviamo odio verso chi ha ucciso nostro figlio ma ora vogliamo giustizia…”, dichiara la mamma di Lucio con le lacrime agli occhi.

Contro questa sentenza è stato proposto appello sia da parte del pubblico ministero che da parte dei genitori di Lucio Niro, difesi dall’avvocato Angelo Piunno. Tutto è stato trasferito alla Corte d’assise d’appello di Napoli che ancora non fissa l’udienza.

Per l’avvocato Angelo Piunno, ci sono indizi sufficienti perché “gravi , precisi e concordanti” che avrebbero potuto portare ad una condanna. Innanzitutto, il movente di natura passionale perché Domenico Felice corteggiava insistentemente Rosanna e quando ha saputo che era incinta l’avrebbe quasi obbligata ad abortire. Tanto che lui stesso si sarebbe recato al Consultorio di via Facchinetti per informarsi. Inoltre, la donna sarebbe stata più volte minacciata da Domenico Felice, come riferito da lei stessa in fase processuale.

Secondo elemento: l’arma del delitto. Il fucile calibro 12 di proprietà di Domenico Felice è compatibile con quello usato per uccidere il giovane muratore. “Quando è stato sequestrato – ha detto il legale – il fucile era stato appena oleato. Questo in genere si fa per confondere chi deve esaminare e risalire all’ultima volta in cui è stato usato. Inoltre, è risultato positivo al guanto di paraffina: aveva polvere da sparo che lui ha giustificato dicendo che si allenava a sparare i topi all’interno della stalla. E questo ‘allenamento’ è un ulteriore indizio: dimostra la destrezza dell’uomo con le armi soprattutto perché colpire un bersaglio in movimento e con tale precisione – come è accaduto nel caso di Lucio Niro –  è difficile”.

Terzo elemento che chiude il cerchio è la mancanza di un alibi. Domenico Felice prima ha raccontato che lui dormiva in auto per sorvegliare la stalla dai ladri e in un secondo momento che era in macchina in attesa che la vacca partorisse. A sostenere questa tesi, in fase processuale, ha portato anche due testi che attualmente sono sotto processo per falsa testimonianza.

Troppi i punti ancora da chiarire, insomma. Dovrà farlo il tribunale di Napoli, in cui confidano i genitori di Lucio.

Nel frattempo Rosanna Parlapiano, la donna con cui il muratore si sarebbe dovuto sposare a marzo (ossia il mese dopo il suo assassinio), sta crescendo la piccola che portava in grembo quando il fidanzato venne ucciso. Lei forse avrebbe potuto dire qualcosa di più per scoprire ma forse la paura l’ha bloccata.

Oggi la bambina ha sette anni. I nonni la vedono tre volte all’anno, più spesso la sentono al telefono. “E quando sento quella vocina mi si riempie il cuore”, racconta la signora Niro. Ma quella bimba ancora non sa che il padre è stato barbaramente ucciso e che il suo killer è ancora misterioso.

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