Martedì pomeriggio, nell’ennesimo confronto con i tecnici dei Ministeri, i commissari alla sanità del Molise, Marco Bonamico e Ulisse Di Giacomo, hanno dovuto incassare un nuovo no. I conti non tornano e il debito Asrem continua a crescere: si prevede una perdita di altri 4 milioni rispetto ai circa 46 all’anno precedente. Non una cifra trascurabile, certo, ma piccola se paragonata ai bilanci miliardari di altre regioni.
Per i Ministeri, però, non contano attenuanti. Conta solo l’aritmetica. Da Roma ribadiscono le prescrizioni: chiusura immediata di un punto nascita e di un laboratorio di emodinamica, riconversione del Caracciolo di Agnone da struttura di area particolarmente disagiata a ospedale di comunità, e l’eliminazione di diversi presidi di guardia medica. Misure che, in ossequio ai criteri di risparmio e rientro dal debito, vanno nella direzione opposta rispetto alle richieste del territorio.
Nell’ottica ministeriale, ha trovato invece favore il progetto di trasferire l’ospedale Cardarelli nello stabile dell’Università Cattolica, attualmente occupato in parte da Responsible Hospital Research.
Non mancano, tuttavia, spiragli positivi. Sono stati infatti sbloccati fondi per le cosiddette premialità 2017 e 2018, pari a circa 30 milioni di euro, risorse che potranno contribuire a dare ossigeno a un sistema sanitario regionale fragile e sottofinanziato.
Resta sospeso il nuovo Piano operativo 2025-2027, che ha incassato un sostanziale gradimento tecnico ma dovrà passare il vaglio definitivo del tavolo di verifica sul DM 70 previsto entro ottobre. È il Piano che tanto ha fatto discutere negli ultimi giorni: non per errori di scrittura, ma perché in linea con i criteri ministeriali impone una riorganizzazione che significa, in concreto, tagli e riconversioni.
Ed è qui che la partita diventa politica. Perché il Molise non è la Campania o il Piemonte: è una regione piccola, con un’orografia complessa, collegamenti carenti, trasporti inadeguati, un’età media della popolazione tra le più alte e una cronica scarsità di servizi. Pensare di applicare i medesimi parametri nazionali senza tener conto delle peculiarità locali significa condannare il sistema a ulteriori tagli.
O si riconosce al Molise uno status “particolare”, con una dotazione finanziaria adeguata alle sue condizioni, oppure si continuerà a chiudere, accorpare, riconvertire, spendendo milioni in prestazioni aggiuntive senza risolvere i problemi strutturali.
Accusare i commissari Bonamico e Di Giacomo serve a poco. Non sono in Molise per “grazia ricevuta”, ma per mandato del Consiglio dei Ministri. I due fanno i tecnici, parlano con i tecnici ministeriali e sono “costretti” a ragionare con la calcolatrice. Le responsabilità, se mai, sono politiche.
In Parlamento e a Palazzo Chigi siedono deputati e ministri che appartengono alla stessa filiera più volte sbandierata in campagna elettorale come la garanzia per “salvare” la sanità molisana. Quella filiera, oggi, dovrebbe tradursi in risorse aggiuntive per tenere in piedi Campobasso, Termoli e Isernia, rendere gli ospedali attrattivi per medici e pazienti, assicurare una struttura sanitaria degna in Alto Molise e magari un elicottero che consenta trasferimenti rapidi da una parte all’altra della regione.
Servono risorse. Non miliardi, ma almeno qualche decina di milioni in più rispetto all’attuale dotazione. È una scelta politica, non tecnica.
In definitiva, il Piano dei commissari non piace al presidente Roberti, all’assessore Iorio, ai parlamentari molisani e a giunta e Consiglio. Ma non ha senso additare Bonamico e Di Giacomo come responsabili. Sono i numeri a guidare i loro atti. La politica, se davvero vuole cambiare le cose, ha l’onere di scendere in campo.
O sì, o no.
Perché fingere di fingere (ovvero, far finta di fingere), continuando a incolpare i tecnici, non farà che allungare l’agonia della sanità molisana. lu.co.

























