La frattura tra politica e commissari che gestiscono la sanità molisana si fa sempre più profonda. Francesco Roberti lo ripete come un mantra: «I commissari facciano i commissari, la politica la facciamo noi». Una frase che, dietro l’apparente formalismo, nasconde la convinzione che il governo della salute non possa restare appaltato a tecnici ministeriali.
Il presidente della Regione, pur consapevole che la sanità sia commissariata e dunque esclusa dalle competenze dirette di Palazzo Vitale, insiste su un punto: le scelte devono restare in capo alla politica. «Se le cose non vanno – osserva – i cittadini presentano il conto a chi governa, non ai commissari né ai tecnici dei ministeri». Un ragionamento, come lui stesso sottolinea, “da manuale”: il principio democratico vuole che le responsabilità siano attribuite a chi ha ricevuto il mandato popolare.
Non a caso Roberti ha preso nettamente le distanze dall’ultimo Programma operativo, quello che stabilisce il funzionamento delle strutture, chi fa cosa e dove. «Non lo conosco, non l’ho letto, nessuno me lo ha sottoposto», ha ammesso il governatore, lasciando intendere che i commissari abbiano agito senza un confronto istituzionale con la Regione.
Eppure, nel suo entourage, trapela più di un sospetto. Alcune scelte – sostengono consiglieri e assessori vicini al presidente – sembrano andare oltre le mere logiche tecniche dettate dal DM 70 (Balduzzi).
Esempi concreti non mancano. La previsione contenuta nel nuovo Programma operativo di istituire un Dipartimento di Medicina al San Timoteo di Termoli viene considerata una scelta discutibile: «L’ospedale regionale di riferimento è il Cardarelli di Campobasso – osserva un consigliere vicino a Roberti –. Spostare il Dipartimento a Termoli rischia di alimentare la narrazione, del tutto infondata, che il presidente voglia concentrare risorse e servizi nella sua città».
Allo stesso modo, desta perplessità la possibile chiusura della sala di emodinamica al Veneziale di Isernia, che in prospettiva – sottolineano da via Genova – «potrebbe aprire scenari favorevoli a operatori privati».
E, ancora, il caso del punto nascite di Termoli: con l’arrivo del primario Biondelli i parti sono in costante aumento, tanto che – assicurano fonti vicine al presidente – «raggiungere il numero minimo previsto dalla normativa appare solo questione di tempo. Perché allora propagandarne la chiusura se non per creare difficoltà politiche al governatore?».
Lo scontro, dunque, non appare come una “lite di condominio”, ma un conflitto politico-istituzionale che ha il suo baricentro a Roma. Decidere se mantenere o meno il commissariamento in Molise resta prerogativa del governo centrale. Ma, sottolinea Roberti, «a nessuno può essere consentito di giocare con la salute dei molisani».
E mentre le dispute istituzionali si accendono, la realtà quotidiana degli ospedali racconta di un sistema che non regge. A Ferragosto, un giovane medico del Pronto soccorso del Cardarelli di Campobasso, di fronte a una sala d’attesa gremita e reparti che dichiaravano posti letto esauriti, ha assunto una decisione senza precedenti: andare a verificare di persona. La sua ricognizione (notturna) ha smascherato l’esistenza di posti liberi che i reparti negavano. Una denuncia di fatto, che avrebbe dovuto provocare una rivolta civile e politica contro un’organizzazione che scarica sui pazienti i costi della disfunzione.
Invece, nulla. Nessuna indignazione collettiva. Il giovane medico, isolato e scoraggiato, ha deciso di rassegnare le dimissioni: dal 1° ottobre lascerà il pronto soccorso. Una scelta che suona come un atto di accusa al sistema e che rappresenta la sconfitta di un’intera comunità incapace di difendere chi, con professionalità e coraggio, ha tentato di cambiare le cose.
La sanità molisana, è evidente, non funziona. Non solo per i tagli e i vincoli di bilancio, ma anche per la presenza di centri di potere che agiscono secondo logiche estranee al bene comune. «Il Molise non chiede privilegi – ha ribadito Roberti – ma rispetto e soluzioni che tengano conto delle sue caratteristiche uniche».
La partita ora è nelle mani del governo nazionale. Ma la responsabilità non è solo di Roma: anche i molisani devono smettere di accettare passivamente ciò che accade. Perché, di fronte a storie come quella del giovane medico del Cardarelli, il silenzio diventa complicità. l.c.

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