Nel 2023, la mobilità passiva in Molise è tornata ai livelli pre Covid: 10.328 casi sanitari trattati fuori regione contro i 10.345 del 2019. Nel 2020 e nel 2021, i viaggi della speranza erano calati (nel 2020 impediti significativamente dal lockdown ma già nel 2022 si era tornati quasi al punto di partenza).
La principale regione di fuga per i molisani, si legge nel Programma operativo dei commissari Bonamico e Di Giacomo inviato ai Ministeri e diffuso anche ai consiglieri regionali venerdì scorso, è l’Abruzzo (3.219 ricoveri). Seguono, il Lazio (1.863) e la Campania (1.122), e ancora la Puglia (983), l’Emilia Romagna (837). Le altre Regioni sono raggruppate insieme (2.304 ricoveri). Anche considerando solo la mobilità per “Drg” alto rischio in appropriatezza – per esempio interventi chirurgici che non sarebbero stati davvero necessari o comunque non sono accompagnati da corretta indicazione per quel tipo di patologia e questo è terreno di confronto poi fra le Regioni al tavolo delle compensazioni ma è anche una disfunzione delle organizzazioni sanitarie – la principale regione di fuga è l’Abruzzo con una percentuale in aumento rispetto al 2019.
Le cifre sono note: per le cure oltre i confini, la Regione Molise “paga” alle altre ogni anno 70-80 milioni, compensati solo dalla grossa fetta di mobilità attiva prodotta principalmente dai due grandi erogatori privati, Neuromed e Responsible.
Mentre gli ospedali pubblici producono quella passiva. In gran parte per carenza di medici e professionisti sanitari. Ma, si legge nel Piano della struttura commissariale, è necessaria anche una riorganizzazione dei servizi. Oltre alle iniziative per il reclutamento di personale e al potenziamento del parco tecnologico di ospedali e strutture territoriali, anche la riorganizzazione della rete ospedaliera «è volta al recupero della mobilità passiva con particolare riferimento alla riduzione della fuga per media e bassa complessità e per i ricoveri a rischio di inappropriatezza. È attualmente in fase di elaborazione un provvedimento volto alla riorganizzazione delle Unità operative delle strutture sanitarie pubbliche regionali, con particolare attenzione alla rimodulazione degli orari di attività dei servizi ospedalieri». L’intervento, spiega il piano elaborato dalla direzione Salute guidata da Lolita Gallo, «mira a ottimizzare l’impiego delle risorse umane e strutturali, migliorare la continuità assistenziale e garantire una più efficiente risposta ai bisogni sanitari della popolazione.
La revisione organizzativa sarà strettamente integrata con le strategie di governo delle liste d’attesa, al fine di ampliare le fasce orarie di erogazione delle prestazioni, ridurre i tempi di attesa per le prestazioni ambulatoriali e diagnostiche, e assicurare un’equità di accesso ai servizi».
È una sfida “antica” per la sanità pubblica e in alcuni servizi regionali è stata almeno in parte vinta: sbloccare il meccanismo per cui gli ospedali lavorano, soprattutto per quanto riguarda le prestazioni diagnostiche, solo al mattino (di sicuro avviene il venerdì). Una maggiore flessibilità nei turni, nell’ambito delle ore previste dal contratto di lavoro, avvicinerebbe gli ospedali all’offerta e alle performance delle cliniche private.
ppm

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