Francesco Boccia è un prof che studia. Docente di Unimol, peraltro, dove nel pomeriggio partecipa a un confronto sull’autonomia.
Basi solide, non semplifica, politico e ministro preparato. Fra i più preparati del Conte bis. Non gli sfugge, dunque, che a essere rigorosi la sentenza della Corte Costituzionale che abroga l’incompatibilità fra presidente di Regione e commissario non ha stabilito che i governatori debbano automaticamente prendere il posto dei tecnici fin qui nominati da Roma. È la politica a dover scegliere se accettare la proposta delle Regioni, voluta dal molisano Toma dopo la vittoria alla Consulta e dal calabrese Oliverio, che chiedono di inserire nel Patto per la salute la revoca dei commissari, laddove non coincidano coi presidenti.
Boccia quindi probabilmente forza un po’ sul verdetto perché la sua posizione sia intesa: «C’è una sentenza molto chiara della Consulta e penso che il presidente della Regione faccia bene a rivendicare alcuni diritti di questa terra straordinaria e che sia opportuno che la programmazione di servizi così importanti avvenga su questo territorio». Massimo rispetto per i commissari, aggiunge rispondendo alle domande dei giornalisti dopo il breve incontro stampa a Palazzo Vitale, «ma le modalità con cui si raccolgono le istanze sono sempre antiche» e cioè sul territorio. «Se le raccogli lo fai nel luogo in cui avvengono, altrimenti racconti delle istanze da lontano…».
Un assist importante, pur se rispettoso. Perché il titolare degli Affari regionali – sull’argomento che lui stesso ha introdotto nella conferenza – chiosa: è un passaggio che il presidente deve fare col ministro competente. Che nel pomeriggio gelerà le attese di Toma: nella nuova bozza di Patto il ‘presidente-commissario’ non c’è.
Il Molise ha vinto un contenzioso importante. Uno dei tanti che vedono protagonisti Stato e Regioni. E nel 90% dei casi i giudici delle leggi danno ragione al governo nazionale. Il fatto che sulla norma che ha convertito il decreto fiscale reintroducendo dietro la forte spinta dei 5s, oggi alleati di Boccia, l’incompatibilità fra presidenti e commissari della sanità abbia vinto la Regione «dà il senso dell’importanza di quella vicenda perché raramente lo Stato perde. Se ha perso è perché quei provvedimenti erano sbagliati. Ne hanno beneficiato altre Regioni, la Campania e il Lazio (anche se Boccia precisa che erano già vicine all’uscita dal commissariamento, ndr). Penso sia arrivato il momento di trovare una soluzione anche per il Molise, nel rispetto delle leggi vigenti e costituzionali e penso che a margine del lavoro complesso che sta facendo il ministro Speranza sul Patto per la salute si possano trovare meccanismi che consentano allo Stato di recuperare rispetto al passo falso fatto con la legge abrogata dalla Consulta».
Per il 18 era prevista la Stato-Regioni, ma lui che ne è presidente non l’ha convocata ancora. Non c’è solo il Patto sul tavolo, spiega. Assicurando che comunque prima di Natale la seduta si terrà.
Al suo fianco, Toma non nasconde la soddisfazione. L’esponente dem di Palazzo Chigi gli ha offerto una leva non da poco. Confermando anche il «buon rapporto che noi Regioni abbiamo con lui, noi del Molise in particolare. È stato nostro sponsor al Niaf». Da parte sua, dice il capo di Palazzo Vitale prima di cedergli la parola, c’è «apertura e dialogo».
Due gli obiettivi di mandato del ministro. Innanzitutto, dimezzare i conflitti fra Roma e i territori. Ne ha trovati a iosa: dieci leggi impugnate al mese e, con tutto il rispetto per la magistratura amministrativa sottolinea, «la Corte Costituzionale non è il Tar». Per cui «come tutti i presidenti sanno è opportuno, nel rispetto dell’autonomia legislativa delle Regioni, rafforzare la fase preventiva del dialogo tra Regioni e Stato. Stiamo lavorando con tutte le Regioni per ridurre le impugnative, vorrei che a fine legislatura questa conciliazione che ho scritto nella nota di aggiornamento al Def, centrasse l’obiettivo di una riduzione dei conflitti al 50%. È bene sapere che alcune leggi se sono incostituzionali non si possono fare, alla Consulta si va per cose nobili».
L’altro obiettivo è attuare l’articolo 116 comma 3 della Costituzione – l’autonomia differenziata – nella cornice della Carta repubblicana. «Non farò mai una riforma a colpi di maggioranza o forzando la mano. O le Regioni sono unite, o non si va da nessuna parte. Nella nota di aggiornamento al Def che il governo ha presentato a settembre c’è scritto che ci sarebbe stato un disegno di legge collegato alla manovra e tra i primi collegati che abbiamo il dovere di presentare in Parlamento c’è il disegno di legge quadro sull’attuazione dell’autonomia differenziata».
Attorno al tavolo ora ci sono tutti. Anche le tre Regioni forti, che spingevano per mollare gli ormeggi. Sarebbe stata una secessione di fatto, quella dei ricchi che possono auto finanziarsi i servizi essenziali. Da quel tavolo a cui si sono seduti anche Zaia, Fontana e Bonaccini – accettando quindi di realizzare l’autonomia insieme al resto d’Italia, chiarisce Boccia – è scomparsa la regionalizzazione della scuola.
Si parte dalle competenze che non prevedono la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, definizione che Boccia pretende sia attuata. Insieme a una mappa sul reale stato dell’arte dell’Italia: dove sarà chiaro non solo che è diseguale, ma anche dove lo è e come si può intervenire. Ha messo insieme governatori e sindaci. Osservando la consegna di farsi ghandiano. «Non mi aspettavo di doverlo essere anche con la maggioranza», annota.
Il presidente del Molise ricambia l’endorsement chiedendo al governo di assumere una decisione sul ddl Boccia che consente a tutte le Regioni di trovare maggiore spazio di autonomia «nel rispetto dei livelli essenziali di prestazione attinenti l’istruzione, la salute, l’assistenza sociale, la mobilità e il trasporto, che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale». Toma si augura che il Cdm ne faccia tesoro.

rita iacobucci

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