Prima votano il taglio delle poltrone, poi ci ripensano e firmano per fare il referendum. Bloccando l’entrata in vigore della legge, che era prevista per il 12 gennaio prossimo. E, a quanto spiega Il Sole 24 Ore, rendendo più agevole l’accettazione dall’altro referendum in divenire, quello leghista sulla riforma elettorale. Il quesito scritto da Calderoli, infatti, è collegato alla delega al governo per la ridefinizione dei collegi, delega che scade il 12 marzo. Ma andrà in archivio senza essere stata applicata perché scadrà prima che il taglio diventerà operativo (se lo diventerà).
Tra i 64 firmatari del referendum contro la riduzione dei parlamentari c’è il senatore molisano dei 5s Luigi Di Marzio. Già in rotta di collisione col Movimento – è nel nutrito drappello di pentastellati pronti a uscire dal gruppo per aderire al Misto restando in maggioranza ma con spirito critico – Di Marzio segna un altro metro di distanza dai vertici.
«Che si chieda il parere dei cittadini su una riforma costituzionale mi sembra il minimo sindacale, si chiama democrazia», spiega. Si dice meravigliato del clamore, regala una stoccata a chi fra i 5s non ha apprezzato la sua scelta condivisa con Mario Giarrusso e Gianni Marilotti: «Quando il piano di Renzi è stato respinto dal voto popolare ci è piaciuto. Bene, vale anche per le nostre riforme. Non vogliamo fare il referendum perché abbiamo paura di essere smentiti dal popolo?».
Personalmente, rivela, non condivideva la riduzione di deputati e senatori da 630 a 400. «Ho votato a favore perché era la posizione del Movimento. Ora ci sono due possibilità. La prima, che il referendum confermi la legge e che quindi la riforma è stata giusta. La seconda, che invece è stata sbagliata. In questo caso non si può imporre ai cittadini la scelta di una minoranza».
Ma perché Di Marzio – direttore sanitario del Cardarelli in aspettativa elettorale e candidato da indipendente nelle liste del Movimento nel 2018 – era contrario al taglio? «I padri costituzionali ci hanno dato un assetto che si regge su pesi e contrappesi. Va bene ridurre i parlamentari ma di pari passo bisogna cambiare anche altre cose. Altrimenti si va verso l’accrescimento del potere del governo e la diminuzione di quello delle Camere… e questo era il disegno di Licio Gelli!». Neanche il tema del risparmio lo appassiona: «Chiudiamo il Parlamento e facciamo prima, come con gli ospedali. Che ragionamento è?».
Saranno gli italiani a decidere, comunque. Irrealistico pensare che vadano alle urne in massa per dire no al taglio delle poltrone a Roma. Ma intanto, se le cose precipitassero e si tornasse al voto ci sarebbero a disposizione ancora 630 posti e non 400. Buttali via…
ritai

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