Aldo Patriciello. Tra i politici più potenti, se non il più potente, del Mezzogiorno. In Campania, narra la leggenda, si sono affannati per accaparrarsi le sue simpatie e ottenere il suo consenso in occasione delle regionali del prossimo 20 settembre.
Aldo è potente. E come tutti i potenti non si sottrae alle domande, anche se scomode. Da eccellente moderato cresciuto nelle file della Democrazia cristiana (note le sue amicizie con Andreotti e Pomicino) sa sempre trovare un punto di equilibrio, pure nelle risposte che fornisce in occasione delle interviste. «In Campania – afferma – darò una mano ai tanti che mi sono stati vicini durante le ultime elezioni europee». Senza aggiungere altro, ma anteponendo un principio – che definisce sacrosanto – all’azione politica: l’amicizia e la riconoscenza sono valori importanti.
Aldo è potente, oggi. La sua forza – politica e imprenditoriale – non l’ha ereditata. L’ha costruita. Mattone dopo mattone, successo dopo successo.
Nato a Venafro 63 anni fa da padre campano e madre venafrana, terminate le superiori scala subito i vertici delle giovanili della Dc. Appena diplomato viene eletto in Consiglio comunale e ricopre la carica di assessore ai Lavori pubblici e vicesindaco. Da allora è un crescendo con ruoli di prim’ordine in più legislature della Regione Molise e dal 2006 in seno al Parlamento Europeo.
Patriciello si è fatto le ossa quando le discussioni avvenivano nelle sedi di partito e non sui social. Quando ottenere la parola durante un’assemblea era già un successo. Quando per essere eletti era necessario il consenso e le candidature non si decidevano con le piattaforme al motto di uno vale uno.
Come tutti i potenti, pure Aldo Patriciello è un personaggio scomodo. Molto scomodo. Al punto che da un po’ di anni qualsiasi cosa accada in Molise si tende a ricondurre a lui colpe o meriti.
Restando nel piccolo Molise, i suoi alleati di coalizione lo temono. Ma allo stesso tempo lo corteggiano. Perché da almeno cinque legislature, le regionali le vince lo schieramento che ospita le sue liste.
Il centrosinistra lo osserva. Con ammirazione. E quando la circostanza lo consente, come accaduto con Paolo Frattura presidente, ci governa insieme.
Il Movimento 5 stelle – i grillini non ne fanno mistero – lo odia. Greco & Co vedono in Patriciello il demonio che ha infranto un sogno (o forse un’illusione): vincere le elezioni regionali di aprile 2018, dopo che solo un mese prima avevano mandato in Parlamento due deputati e due senatori.
Europeista convinto e lontano anni luce per cultura e formazione dal sovranismo, oggi l’eurodeputato proprietario con le società di famiglia del Neuromed e di decine di cliniche in più regioni, non nasconde la sua preoccupazione per come sarà spesa la montagna di soldi che arriverà grazie al Recovery Fund. Dal suo punto di vista, il Paese non ripartirà se buona parte di quello stanziamento non sarà impegnato per colmare il divario tra Nord e Sud.
Partendo dal Recovery e passando per il Mes, Patriciello parla del ‘suo’ Molise e dell’amore/odio con Michele Iorio.
A chi sostiene che Toma sia nelle “sue mani”, risponde: parlo più spesso con la presidente della Commissione Europea che con il governatore del Molise (e scusate se è poco).
I fondi che arriveranno con l’intesa raggiunta sul Recovery Fund basteranno a far ripartire l’Italia?
«Dipenderà dall’uso che ne faremo. Non è un problema di quantità della spesa ma di qualità degli investimenti. Certamente 209 miliardi sono una cifra importante ma servono le idee chiare: non possiamo correre il rischio di perdere questa occasione. Sì alle infrastrutture, agli aiuti alle imprese e all’innovazione, dunque. Ma no a mance elettorali e agli aiuti a pioggia. È arrivato finalmente il tempo di guardare alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni».
Non teme che la politica dei 5 stelle, molto propensa all’assistenzialismo piuttosto che al sostegno a chi genera lavoro, possa condizionare le scelte del governo sulla destinazione dei fondi?
«È un rischio certamente attuale ma spero che il condizionamento maggiore arrivi da Bruxelles. Lo dico in senso positivo, sia chiaro. Perché c’è un dato da tener presente e di cui si è parlato poco fino ad oggi: dei 209 miliardi, ben 135 sono stati assegnati all’Italia “grazie” al Mezzogiorno. È una somma, in poche parole, destinata per la crescita economica delle regioni del Sud. L’Unione Europea sa benissimo che non si può immaginare uno sviluppo equilibrato in un’Italia in cui un terzo dei cittadini ha un reddito pari alla metà di quello del resto del Paese. Mi auguro che il Governo italiano se ne ricordi quando ci sarà da spendere i fondi del Recovery Fund».
Adesso la partita si sposta sul Mes. Qualche giorno fa ha affermato che sarebbe una follia rinunciare ai fondi del meccanismo europeo di stabilità.
«E lo penso tutt’ora. Il dibattito di questi mesi sul Mes è la sintesi perfetta di un vizio tutto italiano, che è quello di guardare alle vicende europee con le lenti distorte del tifoso. Un atteggiamento miope che danneggia tutti, specie oggi che le vecchie condizionalità sono sparite. Rinunciare ai 35 miliardi del Mes significa privare le nostre Regioni della possibilità di farsi trovare pronte alle sfide sanitarie del futuro. È un rischio troppo grosso. Il Molise, ad esempio, deve continuare a credere nelle linee guida tracciate a suo tempo dalla giunta Iorio quando si identificarono strutture sanitarie pubbliche e private quali presidi di eccellenza in grado di offrire servizi assistenziali non solo ai cittadini molisani ma anche a quelli delle regioni del Mezzogiorno, in particolar modo quelle limitrofe. Ciò ha creato in questi anni, e ancor di più potrebbe farlo per i prossimi, un volano di sviluppo economico in ragione del fatto che, come ben noto, la mobilità sanitaria attiva viene pagata dalle altre Regioni e rappresenta una fonte di reddito per chi eroga la prestazione. Negli ultimi dieci anni la nostra regione ha subìto una metamorfosi importante, passando da un’economia industriale a una basata sui servizi. Investire dunque nel loro potenziamento significa rafforzare il potenziale di crescita e sviluppo dell’intero territorio».
Forza Italia. Non va molto bene, almeno nei sondaggi. La sua visione dell’Europa non è compatibile con le idee della Lega o di Fratelli d’Italia. Ma con le “visioni” le elezioni non si vincono.
«La visione di Europa che ha Forza Italia è quella del Partito Popolare Europeo. Ed è la linea che alla fine ha prevalso nella definizione del Recovery Fund, una svolta storica per l’Ue, frutto anche del grande lavoro svolto dall’intera delegazione, in particolare da Tajani e Berlusconi. Il sovranismo ne è uscito sconfitto e non poteva essere altrimenti perché il destino dei Paesi europei è quello di stare insieme, pur nel rispetto delle altrui diversità. Trovare di volta in volta una sintesi ai problemi di tutti è nel Dna storico di questa istituzione. Io credo che il miglior modo per essere patriottici sia quello si essere dei buoni europeisti».
Il Molise, onorevole. Da Bruxelles il punto di osservazione è privilegiato. Come vedono (se vedono) i suoi colleghi europarlamentari la ventesima regione d’Italia?
«Da Bruxelles si guarda al Molise nello stesso modo in cui si guardano le altre regioni del Sud. Una terra meravigliosa, piena di bellezze e con grandi potenzialità ancora inespresse. Più in generale, posso dire di aver notato un’attenzione e una curiosità maggiore nei confronti della nostra regione. Il Molise esiste, insomma».
E lei come la vede?
«Con gli occhi di chi ci vive, investe e lavora. Vedo soprattutto un’esigenza: quella di immaginare e programmare il futuro. Ma per farlo dovremmo mettere in pausa la litigiosità e sederci intorno ad un tavolo tutti insieme, altrimenti saranno gli altri a decidere il futuro della nostra regione. Penso, ad esempio, al tema dell’autonomia regionale di cui sono sempre stato strenuo difensore. Ma il mondo post Covid sarà un mondo diverso, temo. Quindi se c’è da ragionare sulla macroregione o altre soluzioni è bene farlo subito, prima di subire passivamente le scelte fatte a Roma. Coinvolgendo cittadini, enti, istituzioni, associazioni, sindacati e classe politica. In poche parole: i molisani».
Onorevole, ha governato in Regione per poco più di un decennio a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Erano tempi decisamente migliori: più fondi, meno vincoli. Convenga, però, che probabilmente anche in quegli anni qualcosa non è andato per il verso giusto.
«Invece di pensare a quello che non è andato per il verso giusto, mi piace pensare a quello che a suo tempo funzionava e che invece ora non riscontro. E mi riferisco alla propensione al dialogo e al confronto che c’era in seno alle istituzioni tra maggioranza e minoranza. Non che non mancassero i confronti accesi e le polemiche, per carità. Ma vi era sempre, alla fine, uno spirito costruttivo che permetteva di trovare soluzioni condivise. Un’inclinazione al dialogo frutto del fatto che il Consiglio dell’epoca era composto da esponenti politici che non erano stati catapultati in maniera improvvisata in aula, ma venivano, me incluso, dalla gavetta di anni di amministrazione nei Comuni e nei partiti dove si coltivata la cultura del confronto. Oggi invece l’avversario politico è il nemico da abbattere con ogni mezzo. E ciò apre un’autostrada al qualunquismo e al populismo un tanto al chilo».
Le va riconosciuto il coraggio di aver preso spesso le distanze (politicamente, si intende) da Michele Iorio, nonostante fosse il suo vice a Palazzo Santoro. Tante volte non era d’accordo e non lo ha mai nascosto. Anzi, lo ha manifestato a muso duro. Ora la sensazione è che i consiglieri regionali sono più propensi a “tirare a campare” piuttosto che a far valere – e anche imporre, se necessario – le proprie idee.
«Del periodo di collaborazione con Iorio, pur avendo entrambi personalità forti e per alcuni aspetti diverse, non ho nulla da rinnegare perché non è mai mancata, seppur su posizioni diverse, la collaborazione leale finalizzata a fare sintesi per il bene del Molise. Per quanto riguarda la situazione di oggi preferisco non giudicare dinamiche che non conosco. Nel bene e nel male i politici sono chiamati a rispondere ai cittadini che hanno conferito loro la fiducia».
Se le venisse concessa la possibilità di tornare al 1995, anno in cui fu eletto per la prima volta in Consiglio regionale, cosa non rifarebbe o cosa farebbe che non ha fatto?
«Sicuramente dedicherei più tempo alla mia famiglia, a cui riconosco quotidianamente il grande merito di avermi supportato e sopportato con amore e sacrificio nei tanti anni in cui l’attività politica, insieme a quella imprenditoriale, ha ridotto in maniera drastica, oserei dire eccessiva, il mio tempo libero».
Il Covid, nella disgrazia, sta facendo conquistare fette di mercato importanti al Molise in termini di turismo.
«Questo è senz’altro vero e rappresenta comunque una buona notizia. La nostra regione viene considerata un luogo sicuro dove trascorrere le vacanze. Ciò grazie anche al comportamento tenuto dai molisani che si sono attenuti e si stanno attenendo ad uno scrupoloso rispetto delle regole in tema di sicurezza e distanziamento sociale. Dovremo essere bravi a farci trovare pronti e ad approfittare di questo trend positivo per aumentare la quantità e la qualità della nostra offerta turistica. L’attenzione della stampa nazionale ed estera nei confronti della nostra regione è un segnale senz’altro positivo, segno che qualcosa sta cambiando. Del resto, noi molisani sappiamo benissimo quanto sia splendido il nostro territorio. Ora tocca agli altri scoprirlo».
Cosa serve al Molise per cambiare passo?
«Lavoro e infrastrutture su tutto. Lavoro per dare spinta all’economia e un futuro ai nostri ragazzi. Infrastrutture per uscire da un isolamento che ci danneggia enormemente e che rischia di penalizzare qualsiasi progetto imprenditoriale nei prossimi anni. Nei giorni scorsi ho sottolineato l’assurdità dell’ultimo piano infrastrutture preparato dal Governo in cui il Molise è praticamente assente. Una regione senza aeroporti, treni ad alta velocità e senza autostrade dovrebbe essere in cima ai progetti redatti dal ministero dei Trasporti. Avvilente constatare che non è così».
Suo cognato, Vincenzo Cotugno, è assessore e vicepresidente della giunta regionale. Chi la conosce sa che non ama interferire, anche se c’è chi sostiene che le decisioni del governatore Toma vengano prese a Pozzilli.
«È un pensiero che può fare solo chi non mi conosce. Semplicemente assurdo, un periodo ipotetico dell’irrealtà. Per cultura politica e personale non interferisco mai in scelte di alcun genere. Le dirò di più: mi accade più frequentemente di parlare con la Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che con Donato Toma».
Perché quando si assumono decisioni importanti, come in quale struttura sanitaria ubicare il Covid-hospital in Molise, molti attribuiscono a lei colpe (o meriti, dipende dal punto di vista) di ciò che accade?
«Perché uno degli sport preferiti di noi italiani, in particolar modo al Sud, è quello di incolpare gli altri dei propri problemi o, peggio ancora, dei propri insuccessi. Ciò consente, nell’immaginario di chi si pone in questa linea di pensiero, di alleggerire le responsabilità. Di non essere costretti a fare i conti con le proprie mancanze; di analizzare il tutto con superficialità, dando la colpa, di volta in volta, al fato, al destino cinico e baro, alle cavallette, alla sfortuna, ai “poteri forti” e – perché no? – al sottoscritto. Un gioco facilissimo, come vede. Diversamente non saremmo i campioni del “piove, governo ladro”».
Si sente tirato in ballo anche oltre le sue responsabilità?
«Io siedo da anni sugli scranni del Parlamento europeo, ben lontano dunque dalla gestione politica della Regione Molise. Sono inoltre, com’è noto a tutti, un imprenditore che da decenni, attraverso le sue attività, contribuisce all’occupazione e alla crescita di una piccola regione come la nostra. Beninteso: come sosteneva una grande italiana come Oriana Fallaci, non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie. Lo si fa per principio, per se stessi e per la propria dignità. Non mi aspetto applausi, dunque, ma nemmeno di essere incolpato per ogni goccia di pioggia che cade in Molise».
È un gioco: Patriciello governatore del Molise. Come lo immagina il primo anno, quello delle decisioni difficili e impopolari, necessarie per poi ripartire con slancio?
«Non sono mai stato un amante del gioco. Si figuri di giochi che contemplano ipotesi che non stanno né in cielo né in terra. Sono e resto a Bruxelles».
Un accenno alla Campania e chiudiamo: ha affermato non molto tempo fa al Fatto Quotidiano che esiste la politica, ma esistono anche gli amici. E qualcuno tra i suoi amici è candidato con Vincenzo De Luca. Patriciello, che in Campania ha molti elettori, farà votare Caldoro, farà votare De Luca o si concederà una lunga vacanza fino al 20 settembre?
«Le uniche vacanze che conosco sono quelle con la mia famiglia nella mia casa di campagna a Venafro. Quanto alle elezioni regionali in Campania ho semplicemente ribadito un principio che è alla base del mio modo di intendere la politica, e cioè che l’amicizia e la riconoscenza sono valori importanti. Non essendo un elettore campano cercherò semplicemente di dare una mano ai tanti che mi sono stati vicini con affetto e stima durante le ultime elezioni europee».

luca colella

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