Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), strumento chiave della digitalizzazione del sistema sanitario nazionale, continua a viaggiare a due velocità. È quanto emerge dal monitoraggio 2025 della Fondazione GIMBE, che ha evidenziato forti disomogeneità territoriali nell’implementazione del FSE tra le regioni italiane. Il Molise, sebbene in linea con le regioni del Nord per numero di documenti e abilitazione dei medici, mostra ancora notevoli ritardi nell’adesione e nell’utilizzo da parte dei cittadini. Peggio fanno solo Calabria, Campania e Abruzzo.
Il Molise mette a disposizione nel proprio FSE 14 tipologie documentali su 16 (88%), tra cui referti di laboratorio e radiologia, lettere di dimissione, prescrizioni e certificati vaccinali. Si tratta di una delle performance più alte a livello nazionale, pari a quelle di Lombardia, Emilia-Romagna, Sardegna e Toscana.
Anche sul fronte dei professionisti sanitari i dati sono incoraggianti: il 100% dei medici di medicina generale (MMG) e dei pediatri di libera scelta ha effettuato almeno un’operazione sul FSE nel periodo gennaio-marzo 2025, mentre il 100% dei medici specialisti delle Aziende sanitarie è abilitato alla consultazione del fascicolo, superando ampiamente la media nazionale (72%).
Ma il dato che preoccupa è il coinvolgimento dei cittadini: solo il 3% ha espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti da parte dei medici – contro una media italiana del 42% – e appena il 3% ha utilizzato attivamente il FSE nei 90 giorni precedenti la rilevazione. In questo, il Molise si colloca in fondo alla classifica nazionale, insieme a regioni come Calabria, Abruzzo e Campania.
Anche la disponibilità di servizi digitali accessibili tramite il portale FSE è limitata: si attesta al 24%, contro una media nazionale del 31%, e lontana dai picchi della Toscana (56%) e del Lazio (51%).
La situazione è ancora più critica nei territori confinanti di Abruzzo e Campania, entrambi fanalino di coda in numerosi indicatori.
L’Abruzzo, come la Calabria, rende disponibili solo 7 documenti su 16 nel FSE (44%), e conta appena l’1% di cittadini che hanno espresso il consenso alla consultazione, l’1% che ha utilizzato il FSE, e un livello di servizi attivati fermo al 24%. Anche l’abilitazione dei medici specialisti è molto bassa: solo il 37%.
In Campania il quadro non migliora: 10 documenti su 16 disponibili (63%), servizi accessibili pari al 18%, e una delle più basse percentuali di utilizzo da parte dei cittadini (10%). Solo l’1% ha espresso il consenso alla consultazione. I medici di famiglia utilizzano il FSE nell’88% dei casi, ma solo il 61% degli specialisti è abilitato.
La Puglia, pur mostrando buoni risultati nella partecipazione professionale (100% di MMG/PLS e specialisti abilitati), non riesce a coinvolgere i cittadini. Solo il 5% ha utilizzato il FSE e il livello dei servizi disponibili si ferma al 38%. In controtendenza, però, è il dato sui consensi: ben il 73% dei pugliesi ha autorizzato l’accesso ai propri dati da parte degli operatori sanitari, una percentuale ben al di sopra della media nazionale.
«Il Fascicolo Sanitario Elettronico – ha dichiarato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – dovrebbe garantire continuità delle cure e semplificare il rapporto tra cittadini e servizi sanitari. Ma oggi, a causa della frammentazione regionale, rischia di accentuare le disuguaglianze invece di colmarle».
Secondo GIMBE, la piena operatività del FSE richiede tre condizioni: disponibilità dei documenti, attivazione dei servizi digitali e partecipazione dei cittadini. Ad oggi, nessuna regione eccelle in tutte e tre. L’Emilia-Romagna rappresenta un modello virtuoso, con il 92% dei cittadini che ha espresso il consenso, il 65% che utilizza il FSE e il 100% di MMG e specialisti attivi. Al contrario, nel Sud Italia si osservano piattaforme incomplete, poco utilizzate e con livelli minimi di fiducia da parte della popolazione.
Il caso del Molise dimostra che è possibile costruire infrastrutture digitali sanitarie funzionanti, ma serve uno sforzo deciso per coinvolgere i cittadini, migliorare la comunicazione e integrare i servizi. «La tecnologia non basta – ha concluso Cartabellotta – se non si lavora su alfabetizzazione digitale, fiducia e accessibilità, il rischio è che il FSE resti un’occasione sprecata. Per evitare una sanità a due velocità, serve un patto nazionale tra Governo, Regioni e cittadini».
ppm

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