Quello che è accaduto al Cardarelli non è un episodio qualsiasi. È un atto di coraggio. Un giovane medico del Pronto soccorso, esasperato dai continui rifiuti di posti letto nei reparti, ha deciso di non fermarsi alle risposte di circostanza: esasperato da un afflusso impossibile da gestire e dai continui dinieghi, ha fatto il giro di persona, reparto per reparto, per capire cosa stesse davvero succedendo.
Un gesto che definire “eroico” non è esagerato. Perché chi lo compie sa bene che sta toccando fili scoperti, e che qualcuno – in alto o in basso – non gradirà affatto. Ha rotto le uova nel paniere a un “sistema” che, da tempo, vive e prospera all’ombra delle regole, tra inerzie e complicità.
E infatti, dalle dichiarazioni arrivate da via Petrella, si percepisce il fastidio. Ci si affretta a dire che «c’è già un sistema attivo, grazie alla cartella clinica informatizzata, che consente di verificare i posti letto disponibili in tempo reale». Peccato che, come confermano fonti ospedaliere, quella verità sia monca: le cartelle spesso non vengono chiuse in tempo reale, ma il giorno dopo, a volte settimane o addirittura mesi dopo.
E di chi è la responsabilità di chiudere le cartelle? Dei medici. A pensar male si fa peccato, ma qui il sospetto è grande come una casa: non è che non si vuole (deliberatamente) che i letti “vuoti” risultino liberi?
Qualcuno dirà: sarà colpa della carenza di personale, o – come ammettono dalla direzione sanitaria – della «carenza di cultura sul punto». Ma la disponibilità di un posto letto, in un ospedale moderno, non può dipendere da un sistema lento e farraginoso. Possibile che non si riesca a implementare un meccanismo semplice in cui chi ricovera o dimette un paziente inserisce subito il dato e lo rende visibile a tutti?
E qui sta il paradosso. Invece di proteggere e ringraziare chi ha avuto il coraggio di accendere la luce, il rischio è che questo medico venga trasformato da eroe in imputato. Perché in Italia funziona spesso così: si punisce chi denuncia, si copre chi tace.
La notizia del blitz ha scosso l’opinione pubblica. Sembra che il medico fosse accompagnato da un agente di Polizia in servizio al Cardarelli, che non ha potuto fare a meno di informare superiori e magistratura. Potrebbe dunque essere aperta un’inchiesta. E se succederà, allora sarà bene essere chiari: questo medico non deve essere lasciato solo, va difeso e sostenuto a ogni costo.
Perché qui non si parla solo di posti letto, ma di un sistema – politico, clientelare e trasversale – che da anni condiziona la sanità molisana. Medici legati a doppio filo alla politica, di destra, di sinistra e di centro, pronti a mobilitare preferenze e a restituire favori. Basta guardare le liste elettorali e i risultati delle votazioni. In molti casi lo scranno di Palazzo D’Aimmo si deve alle preferenze del dottor “Tizio” o della dottoressa “Caia”, che hanno consentito il raggiungimento del quorum. E il “premio” non è pizza e fichi, ma poltrone da 10mila euro al mese.
Questa storia avrebbe dovuto indignare tutti, da destra a sinistra. Avrebbero dovuto pretendere chiarezza, trasparenza, azioni immediate. E invece, silenzio o iniziative di facciata, utili solo a fare un po’ di scena. Perché? Perché chi dovrebbe parlare è amico, alleato o beneficiario dello stesso sistema che è stato messo in discussione.
A te, giovane medico, diciamo: non sei solo. Hai dalla tua parte i molisani, la gente comune, quelli che ogni giorno aspettano ore in Pronto soccorso, quelli che sanno cosa vuol dire non avere un letto quando sei malato. Chi prova a spegnere la tua voce lo fa perché ha paura di perdere privilegi. Questa battaglia non è solo tua: è di tutti noi.
Luca Colella

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