Che il vitalizio non sia una pensione è un dato acclarato. Lo sostengono gli ex consiglieri ed ex parlamentari quando lo difendono dai tentativi di riduzione perché «diritto acquisito» e quindi intoccabile. Lo sanno bene i comuni mortali, quelli che prendono la pensione e misurano quotidianamente la distanza fra il proprio magrissimo assegno e quello extra lusso di politici che spesso nelle Aule legislative hanno passato pure pochi anni.

Lo ha ribadito di recente anche la Corte di Cassazione pronunciandosi su una controversia singolare. Nata talmente tanti anni fa che il protagonista, uno dei politici più rappresentativi del Molise, se ne sarà pure dimenticato. I fatti: Michele Iorio si rivolse alla commissione tributaria provinciale di Isernia perché l’Agenzia delle Entrate con un accertamento aveva ripreso a tassazione le trattenute ‘in conto’ vitalizio che nelle sue dichiarazioni dei redditi del 1999 e del 2000 erano state considerate invece oneri deducibili. Ebbe ragione in primo grado, Iorio. E ha avuto ragione pure nel 2010 davanti alla commissione regionale. L’amministrazione finanziaria però non si è fermata lì e ha proposto ricorso per Cassazione. Qui l’ha spuntata. La Suprema Corte ha stabilito che sulle trattenute mensili per il vitalizio vanno pagate le tasse. Perché? Perché non hanno natura previdenziale come Iorio aveva sostenuto in primo grado, quindi non sono da considerarsi tassate alla fonte.

La decisione della Cassazione è stata pubblicata il 24 marzo. E la parte più appetibile è quella che inquadra la causa nell’orientamento consolidato degli ‘ermellini’ sul vitalizio ribadito recentemente dalle Sezioni unite (la sentenza citata è del 20 luglio 2016). «L’assegno vitalizio  previsto dalla legislazione regionale in favore del consigliere regionale dopo la cessazione del mandato non può essere assimilato alla pensione del pubblico dipendente: i consiglieri regionali non sono prestatori di lavoro, ma titolari di un munus previsto dalla Costituzione; il Consiglio regionale – argomenta ancora la sentenza – non è un datore di lavoro del consigliere regionale; l’investitura del consigliere regionale avviene per elezione e non consegue alla assunzione per pubblico concorso». Assertivi i giudici della Suprema Corte, i concetti si prestano peraltro anche a commenti goliardici – i consiglieri che non sono dipendenti pubblici e non hanno fatto un concorso -, che poi descrivono meglio la «diversità tra assegno vitalizio e trattamento di quiescenza». In particolare «tra la situazione del titolare di assegno vitalizio goduto in conseguenza della cessazione di una determinata carica e quella del titolare di pensione derivante da un rapporto di pubblico impiego ‘non sussiste… una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego».

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