«Voglio essere indipendente, superare questo momento e rimettermi in carreggiata. Non voglio essere una parassita sociale».
Fatima ha le idee chiare: lavorare regolarmente, ottenere un contratto a tempo indeterminato che le permetta di trovarsi una casa in affitto. Ma, dalla fine del 2020, “rincorre” un tetto sopra la testa. Da un paio d’anni lo ha a disposizione solo per la generosità di qualche amico che la ospita. E che lei ringrazia di cuore, comprendendo però che così non può andare avanti. Dal 3 febbraio 2023 è una persona “senza fissa dimora”. Una delle tante, probabilmente più di quelle che si immagina, a Campobasso.
È arrivata in Italia con la mamma e il papà 36 anni fa dal Montenegro, si sente molisana. Le sue difficoltà iniziano nel 2020, l’anno del Covid. Si occupava di assistenza alle persone e agli anziani, la pandemia ha cancellato tutte le occasioni di lavoro su cui contava. Viveva in affitto. Perso il lavoro, non è riuscita più a pagare i canoni mensili e, con l’aiuto di un’amica, ha cominciato la trafila burocratica per entrare nel percorso di emergenza abitativa del Comune di Campobasso che a dicembre del 2020 l’ha presa in carico. «E per un po’ mi ha aiutato. Ma io non riuscivo a uscire da questo momento di difficoltà. Poi il Comune mi ha detto che non poteva più venire incontro alla mia situazione e sono rimasta in mezzo a una strada. Sono senza fissa dimora dal 3 febbraio 2023, ma i disagi li vivo dal 2020», racconta.
A Primo Piano ha voluto consegnare il suo appello per sensibilizzare le istituzioni, dal Comune alla Regione perché nella lotta alla povertà sono tutte coinvolte e competenti.
«Dal 2021 sono in seria difficoltà, senza fissa dimora, senza reddito di cittadinanza, senza nessun sostegno né aiuto». Sulla strada, ricorda con dolore, ha incontrato anche la brutta esperienza di essere seguita per un po’ di tempo da un avvocato – non molisano – che a dispetto delle Pec che inviava alla fine non le è stato affatto d’aiuto.
Terminato l’accesso all’emergenza abitativa, periodo nel quale era alloggiata nella zona industriale, è cominciata quella che lei chiama “Via Crucis”. Il Comune non aveva più la disponibilità di alloggi per lei né si riusciva a trovarne attraverso le agenzie. «Ho provato con la Caritas, con i privati anche per prendere una casa in affitto, ma senza un sostegno, senza un contratto a tempo indeterminato nessuno si prende la responsabilità di affittarmi una casa o una stanza. Senza il reddito di cittadinanza adesso è impossibile…».
Con la trasformazione del reddito di cittadinanza in assegno di inclusione sociale, infatti, Fatima è entrata in un circolo vizioso. Vuole partecipare ai percorsi di formazione previsti per firmare il “patto” coi servizi sociali ma finora non ne erano stati organizzati, racconta. E questo non ha consentito la presa in carico da parte del Comune. Passa le sue giornate da un ufficio all’altro, da quelli delle assistenti sociali a quelli dell’Inps. Di fatto si sente “rimbalzata” e senza via d’uscita. Di fatto, se una persona che è in grado di lavorare e vuole entrare nel percorso dell’Adi che il governo Meloni ha voluto per sostituire il reddito targato 5s si trova di fronte a un’impresa quasi impossibile. Questa la sensazione che si percepisce netta ad ascoltare la storia di Fatima.
Lei comunque in questi anni non si è data per vita. «Ho esposto la mia situazione anche alla Procura, ho partecipato al bando per le case popolari. A marzo 2023 è stata approvata la graduatoria provvisoria, a settembre 2023 quella definitiva, ma non risolve la mia situazione. Ancora poche settimane fa ho fatto di nuovo domanda di presa in carico al Comune, ad oggi nessun segnale da nessuna parte. Io chiedo solo di uscire da questa situazione con i diritti che mi toccano. Questo ho sempre chiesto anche al dirigente e allo staff delle politiche sociali del Comune di Campobasso. Nel 2021 il Comune mi ha dato un aiuto per un periodo e poi non più, chiesi di parlare anche con l’allora sindaco Gravina, ma non c’è stato modo di incontrarlo. Oggi posso solo dire che seguirò i percorsi di formazione che ci sono a disposizione perché voglio lavorare. Voglio un tetto dignitoso sulla testa e pagarlo con le mie forze, non essere sempre vincolata a un sussidio sociale. Ma quello che ho vissuto e sto vivendo è un incubo. Sono tanti anni che vivo qui e ci conosciamo tutti. Ho visto tanti disagi. Tante persone sono state aiutate e tante altre ancora no, non capisco perché io non sono stata aiutata concretamente».
Chi volesse dare informazioni o averne per cercare di sbrogliare questa matassa può contattare la redazione.
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