Era il 5 luglio 2014. Una data incisa nel cuore del popolo molisano. Quel giorno, Papa Francesco arrivò nella nostra terra per una visita che resterà nella memoria collettiva come un evento epocale. Oggi, mentre il mondo intero piange la sua morte, il Molise si raccoglie in un ricordo commosso e riconoscente di quella giornata che seppe unire fede, emozione e speranza.
L’elicottero papale atterrò sul piazzale dell’Università del Molise alle 8.30 in punto, con 15 minuti di anticipo rispetto al programma. Fu subito tripudio: una folla silenziosa ma vibrante di emozione accolse il Pontefice tra gli applausi e le lacrime. Le prime parole, gli sguardi, i sorrisi rivolti ai bambini: ogni gesto di Francesco si fece segno, carezza, benedizione. Da quel momento in poi, fu una maratona dell’anima che coinvolse tutto il Molise.
Il primo incontro avvenne nell’Aula Magna dell’Unimol, dove il Papa parlò al mondo del lavoro e della produzione. Parole semplici, dirette, forti: sul valore della domenica, sulla dignità del lavoro, sul dovere di riscoprire la bellezza dello stare in famiglia. Parlò anche della necessità di costruire un «patto per il lavoro» che sapesse unire imprenditori, istituzioni e lavoratori. Disse con tenerezza ai genitori: «Perdete tempo con i vostri figli». E in quella frase apparentemente leggera si nascondeva tutta la profondità del suo magistero.
Poi, la santa messa allo stadio ex Romagnoli: 80mila persone in preghiera. Il campo si fece cattedrale, tempio all’aperto. Una celebrazione intensa, scandita dai canti, dai silenzi, dalle parole che Francesco pronunciò con voce ferma: «La persona viene prima di tutto, perché è immagine di Dio». Parole che commossero, consolarono, spronarono.
Nel primo pomeriggio, il Papa fece visita alla Cattedrale di Campobasso per incontrare i malati. Un momento privato, intimo, silenzioso. Si fermò, ascoltò, accarezzò. Disse loro: «Pregate per me». E molti piansero. Poi fu la volta della Casa degli Angeli, dove Francesco pranzò con i poveri, condividendo un pasto semplice in un clima di fraternità e vicinanza evangelica.
Quindi, Castelpetroso. Il santuario dell’Addolorata si trasformò in una piazza viva di gioventù. I ragazzi del Molise gli rivolsero parole affettuose, tra cui quella – diventata celebre – della giovane Sara: «Santità, noi Le vogliamo bene». E lui, cercandola tra la folla, rispose sorridendo: «Il Molise è una regione d’Italia». Un momento tenero, autentico, che mostrò il lato più umano e paterno di Francesco.
Infine, Isernia. Il Papa abbracciò i detenuti, incontrò la città in piazza. Le sue parole furono un grido di libertà e dignità: «Una generazione senza lavoro è una sconfitta per la Patria e per l’umanità». Parole che suonano oggi più attuali che mai. E quando si levò in cielo l’elicottero che lo riportava in Vaticano, il Molise si sentì più piccolo ma anche più grande. Piccolo nella sua perifericità, grande per essere stato scelto.
Quel giorno, Papa Francesco ci mostrò che la fede può farsi carne, che la speranza può abitare anche le terre dimenticate, che la Chiesa può e deve essere madre accogliente. Il Molise, nel giorno del suo commiato terreno, lo piange e lo celebra con gratitudine. Quel 5 luglio 2014, grazie a lui, la nostra regione fu davvero al centro del mondo.
lu.co.

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