L’ordine, per quanto generico, nel proclama di Badoglio, letto ai microfoni dell’EIAR alle 19.42 dell’8 settembre 1943, in realtà c’era: «Ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Se i tedeschi dovessero attaccare, dunque, rispondere con le armi.
E l’ex alleato già nella notte tentò di entrare in Roma. Pure in mancanza di disposizioni precise per difendere la Capitale, il primo scontro avvenne al chilometro 12 della via Ostiense, tra i ponti di Mezzocamino e della Magliana. Scontro violento e sanguinoso. Tra i caduti il mitragliere della PAI, Polizia dell’Africa Italiana, Antonino Zanuzzi nato ad Agnone, 19 anni, medaglia d’argento al valore «col fuoco della sua arma infliggendo all’assalitore gravi perdite». Anche a Bressanone il presidio italiano reagì prontamente, incitato dal s.ten. medico Celestino Giannotti da Bonefro. Così a Putignano dove il s.ten. Igino Masulli di Colletorto, a guardia di un nodo stradale col suo plotone, costrinse i tedeschi alla resa (cr. guerra v.m.). A Napoli il fante Ruggiero Nobile di Forlì
del Sannio senza indugio accorse alla difesa della sua caserma e, imbracciato il fucile, affrontò impavidamente il nemico, finché cadde colpito a morte (med. argento).
Nel pomeriggio del giorno 9, presso le Bocche di Bonifacio, il cacciatorpediniere Da Noli aprì il fuoco contro alcune siluranti battenti bandiera tedesca ma incassò una granata nella zona poppiera. Mentre l’equipaggio tentava di tamponare la falla, il Da Noli urtò una mina e affondò in pochi minuti, trascinando sul fondo il 2° capo telegrafista Vittorio Giuliani nato a Baranello, il comandante Pio Valdambrini di Roma e 226 marinai.
Sebbene molti reparti del Regio Esercito si dissolsero, ognuno cercando singolarmente la via della salvezza, molti altri, come da proclama, reagirono alla protervia tedesca e alla richiesta di consegnare le armi. A Monterotondo fu la divisione motorizzata “Piave”, dal 10 settembre, che si oppose con tenacia al nuovo nemico. I combattimenti, durati quasi due giorni, causarono molti morti da una parte e dall’altra. Al comando di una sezione di mortai, vi era anche mio padre, sottotenente nel 58° reg. “Abruzzi”.
Una reazione alle intimazioni tedesche, spontanea, autonoma, in assenza di pertinenti ordini dal Re e dal suo Governo riparati in Brindisi, da parte dei vertici militari e di molti ufficiali superiori, anch’essi fuggiti anziché combattere in prima linea, come s’addice a un soldato. Eppure la direttiva “op. 44” predisposta e portata a conoscenza dei Comandi d’Armata nei primi di settembre, disponeva di «agire con grandi unità o raggruppamenti mobili contro le truppe tedesche». Ma l’ordine di attuazione venne diramato solo l’11 settembre, quando ormai i tedeschi sul territorio metropolitano avevano già conseguito il pieno controllo della situazione.
Nondimeno si lottò aspramente ancora a Corfù (tra i dispersi Antonio Peccia di Cantalupo nel Sannio, Vincenzo Pilla di Pietrabbondante e Rosmeli Fabrizio di Montenero Valcocchiara), a Rodi (con i vinchiaturesi Giovanni Di Sarro e Giovanni Bellucci), a Lero, a Cefalonia dove, dopo dieci giorni di scontri, l’esercito germanico si macchiò di una ennesima ignominia, massacrando 446 ufficiali e 4.000 soldati della divisione “Acqui” con i fanti Michele Di Iorio di Vinchiaturo, Vincenzo Ciaramella e Leonardo Balestra di Campobasso, Giuseppe Corso di Castelbottaccio, Giuseppe Iammarino di Ripalimosani, Pietrangelo Durante di Sant’Elena Sannita, Vincenzino Di Bartolomeo e Serafino Rossi di Acquaviva d’Isernia, Giuseppe Passarelli di Jelsi, Francesco Marcovecchio di Agnone.
I drammatici eventi nei quali fu coinvolto il 129° reg. della divisione “Perugia”, dovrebbero trovare più attenta collocazione nel contesto della storia d’Italia. Il reggimento, dislocato in Albania, si oppose recisamente a ogni intimazione di resa e, combattendo per molti giorni, riuscì a raggiungere Porto Edda e poi Porto Palermo. Alcuni reparti poterono essere rimpatriati con navi giunte da Brindisi, ma altri furono catturati e trucidati. Con il generane Chiminiello, sulla spiaggia di Santi Quaranta tra i fucilati furono il ten.col. Alberto Di Siro di Venafro (2 med. argento, la prima nella Grande Guerra) zio di mia madre, e il cap. Alfonso Di Zinno di Campobasso (med. argento). I corpi, per espresso ordine di Hitler, furono bruciati e i resti dispersi in mare.
L’eccidio è da addebitare a un reggimento di Gebirgsjäger agli ordini del mag. Siegfried Dodel, poi catturato e fucilato dai partigiani titini sul finire del 1944.
Anche in Tessaglia molti fanti della “Pinerolo” risposero con le armi alle ingiunzioni tedesche passando tra le file della Resistenza greca, così come dei Balcani dove reparti italiani dettero vita alla “Divisione Garibaldi” combattendo al fianco dell’Esercito Popolare di liberazione jugoslavo. Rimpatriata nel marzo del 1945, ne fecero parte i molisani Leonardo Colella di Montefalcone nel Sannio, Loreto Di Nucci di Capracotta, Antonio Martelli di Cantalupo nel Sannio, Luigi Murazzo di Palata, Carlo Scarabeo, Luciano Frabotta, Vincenzo Laezza, Domenico Prete e Luigi Zoppo, provenienti dal distretto di Campobasso. Tutti decorati di medaglia di bronzo al valore.
Numerosi i partigiani combattenti sul territorio nazionale. Giuseppe Di Ielsi di Gambatesa, in 12 mesi di operazioni sempre pericolose «dava ripetute prove di spirito di sacrificio, abnegazione e coraggio» (med. argento alla memoria), infine catturato dai tedeschi, sottoposto a stringenti interrogatori sotto tortura, riuscì a evadere per riunirsi alla lotta partigiana, cadendo sul campo nel novembre del 1944. Volontari nella “Brigata Maiella” furono il serg. mag. Angelo Valerio di Sessano del Molise e il m.llo Rocco D’Aloisio di Agnone, decorati di bronzo. Nella Roma occupata dai nazisti, il m.llo dei carabinieri Matteo Fantetti di Bonefro fin dai primi giorni organizzò un agguerrito gruppo
clandestino riunendo militari sbandati e mettendo a segno numerose azioni di sabotaggio. Anche Giuseppe Marolla di Montecilfone, sottufficiale dei carabinieri, appartenente a un gruppo addetto al servizio informazioni e controspionaggio, fu operativo nella Resistenza romana. Come il m.llo Giulio De Blasis di Larino entrato a far parte del fronte militare della Resistenza quale informatore e autore di «numerose e difficili missioni» (med. bronzo). Nella capitale agiva ancora il ten. Vincenzo Selvaggi di San Massimo che per oltre nove mesi, pur attivamente ricercato, continuò imperterrito a sabotare e minare il potenziale bellico del nemico. Ufficiale superiore, fedele custode delle tradizioni dell’Arma, il mag. Olinto Achille Chiaffarelli di Riccia si distinse quale capace organizzatore e animatore della lotta di liberazione tra Lombardia e Veneto. Individuato, arrestato, incarcerato «manteneva fiero ed esemplare contegno sopportando, con fermo animo, lunga e dura prigionia».
Il tenente colonnello Alberto Olinto Puchetti di Larino, mutilato di guerra, dopo l’8 settembre organizzò subito una formazione partigiana, la “Brigata Pierobon” che guidò in ripetute azioni di guerriglia contro i tedeschi. Con lui anche il figlio diciottenne Guido. Sorpresi durante un rastrellamento, Guido cadde sotto gli occhi del padre che tuttavia «manteneva imperterrito il posto di comando, trascinando con l’esempio i suoi uomini nella dura lotta». Per entrambi la medaglia al valore. A Guido sono intitolate una strada di Padova, dove era nato, e una piazza di Selvazzano.
Partigiani combattenti furono Federico Lombardi, tenente dei carabinieri, in Grecia; Ernesto Di Re di Cantalupo del Sannio, in Bosnia; Giacinto Siravo di Roccaravindola, ucciso dallo scoppio di una mina in Croazia; Liberato Forte di Castelpetroso nella ex Jugoslavia; Giuseppe Barbato di Campobasso; Mario Oberdan Brusa Romagnoli di Guardiaregia; Antonio Ruffini e Basso Sciarretta di Termoli; Domenico Di Iuorio di Cercemaggiore.
Il contributo delle forze regolari del rinato Esercito Italiano è stato a lungo sottaciuto. Eppure, il Primo Raggruppamento Motorizzato (gen. Vincenzo Dapino), costituito il 26 settembre 1943 a San Pietro Vernotico, già nel dicembre successivo conobbe il battesimo del fuoco, sul Monte Lungo, presso Mignano, dove caddero il vinchiaturese Walter Del Basso e Filippo Sammarone di Capracotta.
Il mag. Egidio Ciaccia di Campobasso, già combattente nella campagna di Russia, il 2 febbraio 1944 fu incaricato di un’importante ma pericolosa azione di “intelligence” in territorio nemico e di sbarcare nottetempo sulla costa marchigiana. Nonostante il mare in tempesta, Ciaccia tentò di raggiungere la spiaggia con una piccola imbarcazione ma travolto dalle onde morì per annegamento (med. argento). Analoga impresa riuscì invece al termolese Rocco Battista, sottocapo della Marina Militare e volontario negli Arditi del reggimento “San Marco”.
Con l’Esercito del Sud, al fianco degli alleati, troviamo il cap. Giuseppe de Gennaro di Larino al comando di uno squadrone di cavalleria appiedato; il sedicenne Mino Percorelli, il futuro giornalista poi assassinato a Roma in circostanze mai chiarite, insieme a Giuseppe Di Menna di Agnone e Domenico Spognardi di Pescolanciano, inquadrati nella 2ª compagnia “Commando” italo-polacca addestrata dagli inglesi tra Roccasicura e Oratino e distintisi nella battaglia di Monte Freddo. Nello stesso reparto Antonio Farrace di Roccamandolfi, 17 anni, e Clemente Ciamarra di Torella del Sannio.
Sempre col la compagnia “Commando”, nota come “Gruppo Zak”, il 5 agosto 1955 Attilio Brunetti di Oratino e Michele De Palo di Castropignano presero parte all’attacco su Pergola in direzione di Urbino. In avanscoperta era una pattuglia esplorante guidata proprio dal cap.le mag. Brunetti che, veduto il suo comandante polacco cadere ferito nelle mani dei tedeschi, si lanciò contro gli avversari, due li stese, mentre De Palo teneva a bada gli altri finché venne colpito a morte. Brunetti riuscì però a recuperare l’ufficiale e a portarlo in salvo, meritando la Medaglia d’Oro e la polacca Croce dei Valorosi. Il giorno 20 presso Ostra Vetere l’estremo sacrificio del ventenne Giovanni D’Altorio di Forlì del Sannio.
Ricordo ancora, tutti decorati di medaglie al valore: il s.ten. Giorgio De Sanctis di Guglionesi comandante di un nucleo guastatori, Medaglia d’Oro; il cap.le mag. Giovanni Quircio di Campobasso, 87° reg. “Friuli”, altra Medaglia d’Oro; Michele Roselli di Campobasso, 22° reg. “Cremona”, ucciso da schegge di bombe a mano; il s.ten. Enrico Facciolla di San Martino in Pensilis, nel dopoguerra arrivato al grado di Generale di Corpo d’Armata; il ten. col. Giuseppe Mastrobuono di Bojano, veterano della Grande Guerra e della riconquista della Libia; il campobassano s.ten. Giovanni Colitti, comandante di un plotone fucilieri; il s.ten. medico Elio Moffa di Riccia; il s.ten. Gennaro Ciaccia di Campobasso, comandante di un plotone del 22° “Cremona”; il cap.le mag. Carlo Capriglione di Baranello; il tenente del Genio Navale Roberto Covatta di Baranello; il cap.le mag. Esterino Di Scienza di Mirabello Sannitico colpito a morte presso Castel San Pietro; Il m.llo pilota Pietro Cardines di Venafro; l’allievo sottufficiale pilota Vincenzo Matticola di Campobasso; l’aviere marconista Giuseppe Iarussi di Forlì del Sannio; l’aviere marconista Guido Di Dario di Sessano del Molise. Infine il col. pilota Angelo Mastragostino di Mafalda, soprannominato “Mastruragano”. Fu con D’Annunzio nell’impresa di Fiume, poi combattente nella riconquista della Libia, a Ual Ual e nella guerra d’Etiopia e sul fronte greco-albanese, pluridecorato e protagonista anche nella guerra di liberazione. Si congedò con il grado di Generale di Squadra Aerea.
Massimo Vitale