È ancora il momento che ferma tutto. Nell’era digitale, dove gli eventi e le notizie sono digeriti nel tempo di uno “scroll” sul telefonino, il fumo bianco dal comignolo della Sistina ha l’effetto di sospendere qualsiasi attività.
Alle 18.08 di ieri pomeriggio, l’elezione del successore di Francesco. Al quarto scrutinio (Bergoglio al quinto), nel secondo giorno di conclave. Campane a festa e ancora attesa, tutti incollati alla televisione, ai pc, agli smartphone per sapere chi guiderà la Chiesa universale. I più “fortunati”, 1000mila, in piazza San Pietro.
Poco dopo le 19 l’annuncio del cardinale protodiacono: il 267° Pontefice è Robert Francis Prevost, che “si è imposto”, ha scelto, il nome di Leone XIV (l’ultimo Leone, XIII, nel 1878 ed è il Papa della prima enciclica sociale, la Rerum Novarum). Nato a Chicago nel 1955, a settembre compirà 70 anni, è il primo Papa nordamericano. È stato eletto dal conclave più globale della storia.
Commosso, emozionato, gli occhi lucidi. Il discorso di Leone XIV è il più lungo da quando i Pontefici parlano alla folla (la tradizione l’ha inaugurata nel 1978 Giovanni Paolo II). “Pace” la parola più ripetuta.
«La pace sia con tutti voi», la sua prima frase. «Aiutateci anche voi a costruire i ponti con il dialogo e con l’incontro, per essere un solo popolo, per essere in pace», una «pace disarmata e disarmante», in continuità con Bergoglio. «Grazie a Papa Francesco», l’omaggio al predecessore accolto da un boato. «Vogliamo essere Chiesa che cerca sempre pace, carità, vicina a chi soffre», ha aggiunto.
Con la benedizione, il Santo Padre ha concesso l’indulgenza plenaria a chiunque l’avesse ascoltata e accolta: in piazza, dalla televisione o dalla radio o attraverso i nuovi mezzi tecnologici di comunicazione.

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