A distanza di quasi tre anni dalla morte di Francesca Ercolini, giudice originaria di Riccia, ritrovata senza vita nella sua abitazione di Pesaro il 26 dicembre 2022, il caso torna a scuotere le cronache e, soprattutto, le coscienze. È un suicidio, fu detto all’inizio. Ma se davvero fosse stato così, perché oggi si parla di riesumazione della salma, di nuove perizie, di ipotesi di reato, di depistaggi?
Il prossimo 23 maggio il gip del Tribunale dell’Aquila conferirà l’incarico a un nuovo perito che dovrà eseguire una seconda autopsia sul corpo della giudice, sepolto nel cimitero comunale di Riccia. L’incarico nasce da un incidente probatorio disposto su richiesta della Procura, la stessa che nel tempo ha ampliato il campo investigativo fino a ipotizzare reati gravissimi, come il depistaggio, la falsità ideologica e la violazione del segreto istruttorio. Indagati, tra gli altri, il marito Lorenzo Ruggeri, quattro funzionari delle forze dell’ordine e il medico legale che eseguì la prima autopsia.
Ma perché parlare di depistaggio? E soprattutto: cosa si sarebbe voluto depistare? Se davvero Francesca si fosse tolta la vita, come ipotizzato in prima battuta, perché manipolare, occultare o deviare informazioni? E se non si è trattato di suicidio, allora cosa è successo davvero in quella casa di viale Zara, a Pesaro, il giorno di Santo Stefano?
A volerlo sapere, con tenacia e dignità, è soprattutto la madre di Francesca, Carmela Fusco. Una donna che non ha mai (comprensibilmente) creduto alla tesi del suicidio, ma che non ha mai cercato vendette né processi sommari. Ha chiesto soltanto una cosa: la verità. Lo ha fatto da madre, da cittadina. Francesca, a detta di chi le era vicino, si confidava spesso con la mamma. Le avrebbe raccontato di tensioni familiari, in particolare con il figlio adolescente. Ma allora, ci si chiede, perché una donna così forte, brillante, determinata, come la descrivono amici e colleghi, non avrebbe chiesto aiuto?
La figura di Francesca Ercolini – giudice integerrima, presidente della Seconda sezione civile del Tribunale di Ancona, stimata per rigore e preparazione – si staglia oggi come un simbolo. Non solo per la magistratura, ma per tutti coloro che credono nel diritto alla verità. A 51 anni aveva raggiunto traguardi che pochi possono vantare. La sua scomparsa, in circostanze ancora poco chiare, ha lasciato un vuoto profondo.
Gli atti d’indagine, nel frattempo, hanno rivelato elementi dissonanti. Le consulenze medico-legali presentate dall’avvocato Giuseppe Lattanzio, su incarico della famiglia, parlano di incongruenze nelle prime analisi. Da lì la decisione del gip Marco Billi di disporre, oltre alla nuova autopsia, anche un esperimento giudiziale per ricostruire la scena della morte. L’appartamento, attualmente sotto sequestro, tornerà così al centro delle verifiche.
La procura dell’Aquila ha intanto condotto nuove attività investigative, tra cui perquisizioni, sequestri e analisi di dispositivi elettronici. Operazioni avvenute nel silenzio più assoluto, senza alcun clamore mediatico. Una riservatezza insolita, se si pensa che in altre regioni la notizia sarebbe rimbalzata su tutte le testate. Ma nelle Marche, evidentemente, l’informazione ha un altro passo.
Oggi, più che mai, è tempo di domande. È tempo di chiedersi se davvero si è fatto tutto per chiarire ogni aspetto. È tempo di capire se vi siano state omissioni, errori, o peggio. Le indagini sono ancora in corso, e gli indagati, come è giusto che sia, potranno fornire tutte le spiegazioni del caso.
Ma è anche tempo del rispetto. Per una madre che lotta, per una giudice che meritava di essere protetta, non dimenticata. E per una verità che, qualunque essa sia, ha diritto di venire alla luce.
Lu.Co.