Oggi, 10 settembre, è una data piuttosto triste nella storia molisana, in particolare per Isernia e Bojano. Settantacinque anni fa, infatti, i due centri furono i primi a conoscere sulla propria pelle gli orrori della guerra. Se nel primo conflitto mondiale la guerra fu vissuta in lontananza perché il fronte era situato nel Nord Italia, a confine con l’impero austro-ungarico, con la seconda guerra mondiale le bombe, i morti e le distruzioni arrivarono in casa. Il Molise fu a lungo teatro di scontri tra l’esercito tedesco e quello alleato, pagando un prezzo molto elevato in termini di vittime civili, oltre 1.250, distribuiti tra una ottantina di Comuni su 134 in totale. Migliaia anche le abitazioni private distrutte, oltre alle tantissime infrastrutture pubbliche (ponti, strade, piazze, marciapiedi, acquedotti, centrali idroelettriche, edifici istituzionali, scuole, cimiteri, chiese, ferrovie, ecc.) danneggiate o messe completamente fuori uso dai bombardamenti aerei, dai cannoneggiamenti, dalle bombe di mortaio, dalle mine oppure dalle granate. Se la guerra di Liberazione in Italia ebbe la durata di venti mesi (dal settembre 1943 all’aprile 1945), va ricordato che circa la metà, cioè nove mesi (dal settembre 1943 al maggio 1944), fu combattuta sul suolo molisano. Questo fu la causa dell’alto numero di morti e degli ingenti danni subiti dal popolo molisano. Il Molise, infatti, insieme al basso Lazio costituì la linea Gustav, baluardo di difesa dell’esercito tedesco contro l’avanzata delle truppe alleate. L’armistizio dell’8 settembre 1943 diede l’illusione collettiva che per l’Italia la guerra fosse finita. In realtà con l’armistizio il territorio nazionale fu spezzato in due, il Molise segnò il punto di confine tra il Sud dove era fuggito il re Vittorio Emanuele III e il governo presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio, e la parte superiore della penisola a partire dall’Abruzzo e Lazio sotto il ferreo controllo dell’esercito tedesco che sul nostro territorio, nel frattempo, aveva aumentato la sua presenza in quanto Hitler aveva inviato nuove divisioni perché era stato informato che il governo fascista e quindi Mussolini, il suo principale alleato, mostrava evidenti segni di cedimento. Il sovrano e i vertici militari scelsero di non opporsi ai tedeschi rifugiandosi a Brindisi, nella speranza di evitarne la reazione, ciò determinò una situazione caotica con uno sbandamento generale dell’esercito italiano. L’armistizio in realtà fu siglato segretamente a Cassibile (borgo di Siracusa) cinque giorni prima, il 3 settembre 1943, con questo accordo il Regno d’Italia cessò le ostilità verso gli anglo-americani, che da nemici diventarono alleati, ed ebbe inizio di fatto la resistenza italiana contro il nazifascismo. Di comune accordo fu stabilito che la sua entrata in vigore doveva avvenire l’8 settembre, dal momento del suo annuncio pubblico, che fu dato alle 18.30 italiane, prima da Radio Algeri da parte del generale Dwight Eisenhower e, un’ora più tardi, alle 19.45 confermato dal maresciallo Pietro Badoglio dai microfoni dell’Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche). La notizia dell’armistizio determinò una grande euforia su tutto il territorio italiano, con esplosioni di gioia collettiva, in quanto c’era la convinzione che la guerra fosse finalmente finita. In realtà fu solo un’illusione, perché ben presto la popolazione venne a trovarsi tra l’incudine e il martello, da una parte i tedeschi che iniziarono ad essere ostili e prepotenti nei confronti dei civili, pretendendo generi alimentari, requisendo capi di bestiame da macello e facendo razzie di oggetti di valore, e costringendo i cittadini a lavorare per loro sotto la minaccia delle armi, e dall’altra gli alleati che iniziarono a bombardare le retrovie dove erano attestate le truppe tedesche per tagliare loro la ritirata e i rifornimenti di munizioni e carburante. Sia a Isernia che a Bojano quell’euforia durò poco più di una giornata. Nel centro bifernino la notizia dell’armistizio giunse nel tardo pomeriggio di quel venerdì 8 settembre, durante la festa della Madonna delle Grazie nel borgo di Civita Superiore, per cui, in segno di ringraziamento per il presunto miracolo che aveva sancito la fine della guerra, fu deciso unanimemente di ripetere la processione anche il giorno successivo, 9 settembre. E così fu! Tanti pensarono che ben presto con la guerra ormai finita avrebbero riabbracciato i propri cari che erano al fronte. Purtroppo fu solo una triste illusione, ben presto le popolazioni dovettero fare i conti con la dura realtà. Quel settembre 1943 fu solo l’inizio della più immane tragedia per il popolo molisano e non solo, causata dalla follia umana. A distanza di pochi minuti, le popolazioni di Isernia e Bojano cominciarono conoscere da vicino gli effetti distruttivi delle bombe, un ricordo ancora vivo e doloroso per chi ha vissuto quei tragici momenti e sotto le bombe ha visto morire familiari, parenti ed amici. Un ricordo che piano piano con il passare degli anni sta, comunque, scomparendo essendo ormai trascorsi ben 75 anni da quei giorni infausti in cui non si fecero distinzioni tra nemici e popolazioni civili inermi. Una guerra brutale e insensata priva di quel briciolo di umanità che dovrebbe contraddistinguere un popolo civile, dove bambini, donne e vecchi venivano considerati alla stregua dei soldati nemici. Gli isernini all’epoca convinti che la guerra fosse finita, si sentirono più distesi e sereni, quel tragico venerdì mattina del 10 settembre 1943, invogliati anche dalla bella giornata assolata, si recarono al mercato non immaginando minimamente la catastrofe che di lì a poco si sarebbe abbattuta sulla loro città. Intorno alle 10.25 cominciarono ad avvertire sempre più forte il rombo di stormi di aerei (Flying Fortress dell’aereonautica americana, meglio noti come Fortezze volanti) che si avvicinavano. Inizialmente le fortezze volanti vennero viste con simpatia, tantissimi i cittadini che alzarono lo sguardo con un senso di compiacimento salutando l’arrivo dei liberatori della Patria. Ad un certo punto dalla pancia di questi aerei cominciarono ad uscire grappoli di punti neri che emettevano un fischio assordante e terrificante, dopo un breve lasso di tempo si cominciarono ad avvertire una serie infinita di scoppi devastanti che sollevava enormi polveroni facendo tremare il terreno sotto i piedi degli sbigottiti spettatori rimasti scioccati da quello spettacolo inatteso. In pochi secondi quel sole splendente fu oscurato da una immensa nuvola di polvere che rese l’aria irrespirabile mista ad un odore strano ed ammorbante di corpi umani bruciati e dilaniati dallo scoppio delle bombe. L’obiettivo ufficiale di quei bombardamenti rientrava in un piano “strategico” dell’esercito anglo-americano finalizzato ad indebolire le linee di resistenza tedesche, in quanto la città pentra rappresentava un punto di passaggio importante per l’esercito tedesco sia verso la Campania che in direzione della costa adriatica. La missione ufficiale dei bombardieri era quindi quella di distruggere il viadotto Cardarelli, ubicato nella parte sud dell’abitato, per interrompere tale collegamento. Ironia della sorte il viadotto fu una delle pochissime infrastrutture cittadine che miracolosamente non subì alcun danno dai ripetuti bombardamenti. Gli anglo-americani nelle incursioni sulla città pentra sganciarono centinaia di bombe da 500 libbre, demolendo gran parte dell’abitato, compreso il patrimonio monumentale, provocando circa 500 vittime. Diverse fonti parlarono di 4 mila vittime, stima ridimensionata nell’anno 2007 a seguito di una pubblicazione dell’Archivio di Stato di Isernia dal titolo “La seconda guerra mondiale e i bombardamenti del 1943 nelle carte del Tribunale di Isernia”, meticoloso lavoro di consultazione degli atti, curato da Immacolata Di Perna, da cui risulta che l’elenco delle vittime accertate a seguito dei bombardamenti su Isernia nei giorni 10, 11, 12 e 16 settembre, e il 15 ottobre del 1943, furono 489, di cui 241 uomini e 248 donne (147 avevano meno di quindici anni). Nel 1960 il Comune d’Isernia è stato insignito della Medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione: «Sopportava con stoico coraggio numerosi e spaventosi bombardamenti aerei che distruggevano la maggior parte del centro abitato e uccidevano un terzo dei suoi abitanti, mai deflettendo dal suo eroico e dignitoso contegno verso lo straniero e dalla sua fede nella risurrezione della Patria». Ogni anno, in occasione dell’anniversario del bombardamento, si tiene ad Isernia una cerimonia commemorativa in piazza X Settembre, presso il monumento dedicato alle vittime del bombardamento, con deposizione di una corona d’alloro. Quel 10 settembre 1943 anche la comunità bojanese visse l’identica triste e dolorosa esperienza dei bombardamenti aerei. Erano le 10.30 quando si sentì in lontananza il rombo di una squadriglia di aerei, all’improvviso comparvero in cielo una quindicina di bombardieri del XII Bomber Command, per la popolazione, soprattutto per i più piccini, sembrava uno spettacolo di gioia vedere tanti aerei che procedevano raggruppati mantenendo la stessa distanza e ordine, divertimento che ben presto si trasformò in terrore. All’improvviso ognuno dei bombardieri prese una direzione diversa, si allargarono e si distanziarono tra loro, con accelerazioni di motore che facevano presagire che qualcosa di spaventoso stava per accadere. Quegli aerei che sembravano impazziti, sganciavano grappoli di strani oggetti i quali nella loro scia emettevano fischi sinistri, suoni mai sentiti prima dai bojanesi, a cui seguì una interminabile serie di spaventose deflagrazioni che facevano tremare e rompere i vetri delle finestre, lasciando sul terreno enormi crateri. Fu il primo giorno di una lunga serie di bombardamenti sulla città che cominciò a contare le prime vittime tra la popolazione. Morì anche un’intera famiglia napoletana che si era rifugiata a Bojano per sfuggire ai massicci bombardamenti subiti dalla sua città. I raid aerei degli Alleati avevano l’obiettivo di distruggere ponti, strade e ferrovia per tagliare la ritirata tedesca verso Isernia. La popolazione terrorizzata abbandonò in massa la città cercando rifugio in montagna, tra la borgata Civita e località Sant’Egidio. L’abbandono improvviso delle abitazioni favorì il fenomeno dello sciacallaggio. Lo sfollamento fu consigliato anche dalle stesse autorità Alleate a mezzo di volantini buttati dagli aerei di ricognizione. I bombardamenti si susseguirono anche nei giorni successivi, dal 12 al 19 settembre. I soldati tedeschi dal canto loro fecero razzia di animali e beni di prima necessità. Per una ventina di giorni non ci furono bombardamenti, ma solo cannoneggiamenti in particolare dalle postazioni tedesche. I bombardamenti ricominciarono il 12 ottobre, seguì una breve pausa di qualche giorno, dopodiché le incursioni aeree ripresero in maniera massiccia e sistematica ogni giorno e a qualsiasi ora della giornata, dal 15 fino al 23 ottobre. Furono giorni terrificanti, vennero sganciate bombe di vario calibro, ci furono mitragliamenti e cannoneggiamenti che raggiunsero anche l’abitato di Civita dove ci furono i primi morti. I numerosissimi sfollati che erano ospitati nella borgata visto che il luogo non era più sicuro si spostarono verso la montagna e i Comuni di Campochiaro, Guardiaregia, Sepino e Roccamandolfi. Complessivamente le vittime civili a causa dei bombardamenti e dei cannoneggiamenti tra settembre e novembre 1943 furono ben 33, circa 360 le case andate distrutte e gravemente danneggiate, 520 furono quelle che riportarono danni lievi. Ben 830 furono i cittadini che rimasero senza abitazioni. Molte le infrastrutture pubbliche, come strade, ponti, marciapiedi, fogne e acquedotti andati distrutti. Non fu risparmiata neanche l’antica cattedrale che fu rasa al suolo tra il 17 e il 18 ottobre, rimase in piedi solo il campanile con vistose lesioni. Anche la chiesa di Santa Maria del Parco riportò notevoli danni. Don Angelo Colacci, parroco della Cattedrale, a seguito della distruzione della sua chiesa, morì, a soli 42 anni, un mese dopo, per l’enorme dispiacere. Aveva a lungo lavorato con impegno per renderla un gioiello di eleganza e di decoro. I bellissimi affreschi sulle volte del maestro Romeo Musa, di cui restano solo testimonianze su cartoline d’epoca, andarono tutti distrutti. Il 20 ottobre fu fatto saltare dai tedeschi il ponte sul torrente Rio, lungo la strada di Monteverde. Il soldato che aveva acceso le micce rimase ucciso nello scoppio. Bojano fu liberata il 24 ottobre con l’arrivo in città delle truppe canadesi. La Città di Bojano è Medaglia di bronzo al valor civile con la seguente motivazione: «Centro strategicamente importante, situato sulla ‘linea Viktor’, fu sottoposto a devastanti bombardamenti che provocarono vittime civili e danni ingentissimi alle abitazioni, alle infrastrutture ed al patrimonio industriale. I cittadini costretti a rifugiarsi nei paesi vicini, seppero resistere con fierissimo contegno agli stenti ed alle dure sofferenze, per intraprendere, poi, la difficile opera di ricostruzione morale e materiale». La medaglia è stata consegnata l’8 gennaio 2010 al sindaco dell’epoca Antonio Silvestri dall’ex Prefetto di Campobasso Carmela Pagano, nel corso di un incontro presso il Palazzo della Prefettura, grazie alle ricerche approfondite dello studioso Nicola Felice.

Enzo Colozza

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