Quando è arrivato, puntualissimo rispetto alla tabella di marcia, in Piazza Pepe non c’era tantissima gente oltre agli addetti ai lavori. Ma chi c’era lo ha applaudito. Qualcuno gli ha urlato «presidente, lei è una persona ‘pulita’» e con voce altrettanto sostenuta ha aggiunto di andare avanti e di «resistere per tutti e cinque gli anni» della legislatura.
Tra chi lo aspettava, un uomo costretto sulla sedia a rotelle e i suoi familiari. Il presidente Conte ha ascoltato con attenzione quanto avevano da dirgli, spiegato nel dettaglio in una lettera che il premier ha riposto nella tasca interna della giacca.
All’uscita dalla Prefettura, erano le 11.15 circa, il primo ministro, dopo aver dedicato qualche minuto ai cronisti, si è concesso alla folla raggiungendo coloro che richiamavano la sua attenzione. Ha dialogato, si è lasciato ritrarre negli ormai immancabili selfie ed ha avuto una parola per tutti, nonostante la ressa e l’imponente servizio d’ordine.
Tutto quello che c’è da sapere sul perché della visita e i dettagli del “contratto” illustrato agli amministratori molisani, lo troverete tra le righe degli approfondimenti a cui oggi Primo Piano dedica quattro pagine.
Qui, qualche nota di sano colore, ispirata da una persona, il capo dell’esecutivo, che ha mostrato ad una terra a lui nota il volto umano del governo in carica. Quell’umanità che, soprattutto quando l’esecutivo era guidato da Renzi, è mancata.
Nonostante a mezzogiorno fosse atteso a Potenza e prima di raggiungere la Basilicata doveva fermarsi all’istituto Montini, il premier non si è affrettato e tra pacche sulle spalle, abbracci, strette di mano e scatti fotografici, si è trattenuto fin quando gli è stato possibile, confessando di partire con un pizzico di amarezza: «Mi mandate via dal Molise senza caciocavallo».
Banale? Forse. Ma parlare di caciocavallo, ascoltare la moglie di un uomo costretto dalla Sla sulla carrozzina, stringere la mano alla signora anziana che lo ha atteso due ore al freddo, farsi fotografare con chiunque ha chiesto un selfie, è umano, normale. Pone sullo stesso piano il capo del governo e la nonnina campobassana, che ieri per qualche istante ha messo da parte tutti i suoi problemi e si è sentita importante, ascoltata. Considerata.
Altrettanto disponibile è stato con i giornalisti. Gli addetti alla comunicazione di Palazzo Chigi avevano lasciato intendere che il presidente non avrebbe risposto a domande, ma rilasciato solo una breve dichiarazione sui contenuti del contratto istituzionale di sviluppo, ovvero, il tema della visita. Conte ha risposto a tutte le domande che gli sono state poste, anche su temi come le recenti polemiche su Consob e Banca d’Italia. Le dichiarazioni rilasciate ai cronisti molisani sull’esito delle regionali in Abruzzo hanno occupato subito le prime pagine dei quotidiani online nazionali.
Tutto nella norma, certo. Ma anche no.
L’ultimo premier in visita istituzionale a Campobasso è stato Matteo Renzi (in realtà ad aprile scorso è venuto pure Gentiloni, ma per incontrare gli elettori a sostegno del candidato di centrosinistra Carletto Veneziale). Alla prima data fissata non si presentò. I convenuti, riuniti nel teatro Savoia, lo seppero qualche minuto prima dell’inizio dei lavori. Che lezione di stile…
Anche Renzi, come ieri Conte, aveva in programma tre incontri in un giorno. Cosa accadde con precisione non si capì, si seppe che per via del maltempo una tappa doveva saltare e, ovviamente, fu annullata quella molisana.
Un paio di mesi dopo, in piena estate, fu fissata una nuova data. Questa volta all’Università. Primo intoppo per chi di mestiere scrive o racconta i fatti in tv, il numero degli accrediti concessi ad ogni testata. Altro dilemma, le interviste. Un protocollo mai visto prima, macchinoso, complesso, antipatico. A nessuno, se non a pochi eletti, fu concesso di avvicinare l’allora capo del governo. La gente comune fu tenuta a debita distanza, anche se oltre agli invitati e agli addetti ai lavori non c’era nessuno, ma nessuno nel senso più rispettoso del termine.
Dunque, dalla spocchia di Renzi al desiderio di caciocavallo di Conte, che quando frequentava l’università partiva da Volturara Appula, in provincia di Foggia ma a pochissimi chilometri da Tufara, e attraversava buona parte del Molise per raggiungere Roma. «Conosco bene ogni curva delle vostre strade», ha raccontato ieri ricordando la sua gioventù.
Nella visione comune, quella del pensionato che non sa come arrivare a fine mese, dell’operaio che non può mandare i figli a scuola e dell’universitario che deve servire pizze, birre e coca cola per pagarsi gli studi, i grandi risultati raggiunti da chi ha governato in precedenza (Pil, crescita, spread, lusinghiere previsioni europee) non sono mai stati percepiti per come li hanno raccontati e continuano a raccontarli, soprattutto nel confronto con chi oggi siede sugli scranni di Palazzo Chigi. Di quel Pil che cresceva, cresceva e ancora cresceva, chi ieri ha applaudito il premier non ha visto un solo euro (per dire che la condizione della gente comune è progressivamente e ulteriormente peggiorata).
Per logica, tra un governo che produce ricchezza e uno che produce selfie, non ci sarebbe molto da scegliere. O no?
Perché, allora, Campobasso applaude Conte e ha snobbato Renzi, arrivato a luglio 2016 con un vagone carico di soldi per la regione?
La risposta, probabilmente, sta tutta in quel genuino desiderio di caciocavallo espresso dall’avvocato pugliese dalla faccia pulita e dalle maniere garbate, cresciuto a pochissimi chilometri da Gambatesa, Tufara e dall’invaso di Occhito.
Luca Colella

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