Chi urla e alza le mani e lo fa nei confronti di una donna non può circolare liberamente negli ambienti del Consiglio regionale del Molise. L’Assemblea legislativa che ha sede in via IV Novembre è la massima istituzione della regione, lo stabilisce la Costituzione. Dunque, un luogo ‘sacro’, come lo sono il Parlamento, la Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato, il Municipio, la Provincia, piuttosto che la Prefettura o il Tribunale.
Non può essere consentito a nessuno – a nessuno – di alzare la voce, minacciare, insultare, aggredire e perfino mettere le mani addosso ad una persona, una professionista, che svolge con diligenza, educazione e rispetto delle regole il suo lavoro. Se ciò accade, vuol dire che l’istituzione, nel caso di specie il Consiglio regionale, ha fallito. O, peggio ancora, è complice.
I fatti.
Martedì scorso si riunisce il Consiglio regionale. Ci sono i comitati che per l’ennesima volta manifestano. Sono autorizzati e ne hanno tutto il diritto.
In Aula, nei posti riservati al pubblico, ci sono alcuni operatori della Formazione. Il ruolo di queste persone, cosa hanno prodotto per il Molise, quali concorsi hanno superato, quanto sono costati alle casse pubbliche, lo approfondiremo nei prossimi giorni.
Di fatto, sono presenti a quasi tutte le sedute dell’Assemblea per rivendicare ipotetici diritti.
Uno di loro, si chiama Pietro Sacco, ha un alterco molto acceso con il sottosegretario Pallante. Le immagini sono chiare. Un faccia a faccia duro, che va oltre le regole a cui chi frequenta quel luogo, l’Aula di Palazzo D’Aimmo, deve sottostare. Vengono quasi alle mani.
Terminato l’indecoroso teatrino, Sacco, come un indemoniato, si fionda addosso ad una giornalista di Primo Piano Molise che stava documentando con il suo cellulare quanto accadeva. La insulta, l’accusa di «prendere soldi dai politici», la definisce più volte «pennivendola» e le intima di smettere di registrare. Ciò accade nell’Aula del Consiglio regionale del Molise.
Il peggio lo ha evitato un ispettore della Digos, mentre funzionari e vigilanti alle dipendenze dell’Assemblea legislativa, anziché prendere a calci nel sedere e accompagnare fuori il signore che dava di matto, invitavano tutti gli operatori dell’informazione presenti in quel momento a non riprendere quanto accadeva. Intimando addirittura di «cancellare i filmati». A giudizio di vigilanti e funzionari, l’uomo poteva continuare deliberatamente ad urlare, spintonare, schiaffeggiare e insultare, purché la sua ira non venisse immortalata.
È tutto vero. E tutto documentato con dovizia di particolari dalla sequenza delle immagini, ora a disposizione del capo della Squadra Mobile di Campobasso, a cui la collega si è rivolta.
Sarà la magistratura a valutare i reati e a punirli. Quanto accaduto impone, tuttavia, una serie di riflessioni. Una su tutte: chi è responsabile della sicurezza di chi per lavoro, come fanno i cronisti, frequenta l’Aula di Palazzo D’Aimmo?
La collega, almeno nell’immediato, non seguirà più le sedute del Consiglio. È terrorizzata, ha paura. Ma è anche mortificata e per certi versi delusa dall’istituzione, che anziché prendere le sue difese la invitava a «non registrare».
Le immagini su cui sta lavorando la Squadra Mobile non sono quelle che ha realizzato la giornalista. Sono di un collega. E non sono le uniche. Più di qualcuno, è evidente, stava documentando. Sacco, tuttavia, ha preferito inveire contro l’unica donna che stava registrando quanto accadeva. Per quale ragione? Lo spiegherà lui agli inquirenti. Non è tuttavia difficile intuire che una donna reagisce diversamente da un uomo. Come dire, è più semplice prendersela con il gentil sesso, sotto lo sguardo attonito e ingiustificatamente immobile di assessori e consiglieri.
Il presidente Micone, che non era in Aula quando è accaduto il fattaccio, venuto a conoscenza ha espresso solidarietà alla giornalista, a Primo Piano Molise e a tutti gli operatori della stampa, assicurando che l’Ufficio di presidenza sta modificando il regolamento di accesso all’Aula. E questa è davvero una buona notizia: non si può consentire a chi non è degno di frequentare il Consiglio regionale, di invadere la libertà altrui e di mettere in pericolo chi esce di casa per guadagnare un tozzo di pane, perché anche di questo si tratta. Vale per Sacco e vale per tutti coloro che credono di affermare i propri diritti (o presunti tali) alzando la voce e le mani.
Mettere un punto prima che sia troppo tardi nel caso dell’Assemblea legislativa non è una facoltà ma un obbligo. Altrimenti si corre il rischio di ‘legalizzare’ comportamenti che invece vanno repressi, anche con la forza, se necessario.
Sul caso si sono immediatamente attivati l’Ordine dei giornalisti e l’Assostampa. Tanti i messaggi di solidarietà giunti in redazione e personalmente alla collega. Anche da assessori e consiglieri, che quando è accaduto l’increscioso episodio almeno un dito avrebbero potuto alzarlo.
Tanto affetto, oltre a far piacere, aiuta a capire chi è dalla parte giusta e chi da quella sbagliata.
Noi continuiamo a raccontare i fatti, anche perché solo quello sappiamo fare.
La violenza la lasciamo ai violenti, nella convinzione che il dialogo e la critica, purché espressa nelle dovute forme, siano l’unica arma che abbiamo a disposizione. Insieme alla matita che utilizziamo quando nell’intimità dell’urna scegliamo da chi farci governare.
Luca Colella

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