A pochi giorni dall’ultima puntata della fiction Le indagini di Lolita Lobosco, il vicequestore in tacchi a spillo, interpretato da Luisa Ranieri, ho il piacere di incontrare Gabriella Genisi, l’ideatrice di questo personaggio femminile così attuale e tanto amato dai telespettatori.
L’autrice, di origini pugliesi, è una donna squisitamente autentica, nei sentimenti quanto nella sua scrittura, diretta, pulita, discorsiva. Una scrittrice moderna, ben salda nei valori delle proprie radici mediterranee. Proprio come la sua Lolita.
Lolita Lobosco nasce come omaggio a Salvo Montalbano di Andrea Camilleri, con cui ha diversi punti in comune. Quanto si assomigliano questi due personaggi?
«Questi due personaggi si muovono in due piani temporali diversi. Salvo Montalbano è legato alla fine degli anni ‘90, Lolita Lobosco è, invece, una donna contemporanea. Se io non avessi letto i libri di Camilleri sicuramente Lolita non sarebbe mai arrivata nella mia mente. La figura così importante e carismatica di Salvo Montalbano ha messo in luce un vuoto nella letteratura poliziesca italiana: il vuoto rappresentato dai personaggi femminili, che ricoprivano nella Polizia di Stato – letteraria, ovviamente – i ruoli apicali. In quel momento la letteratura non rispecchiava più la realtà, perché, invece, nella vita reale c’erano tante donne commissario. In cosa si assomigliano Salvo e Lolita? Sicuramente nella passione, nel forte legame con il territorio, nella schiena dritta e nel forzare talvolta le regole, la giurisprudenza, per cercare di arrivare alla verità, quella con la “V” maiuscola».
Una curiosità. Perché proprio il nome di Lolita? Il personaggio, che si muove in un profondo Sud, poteva chiamarsi ad esempio “Mariacarmela”. C’è in questo nome un rimando semantico?
«Forse il nome Mariacarmela non avrebbe avuto questo grande impatto sia nei lettori sia nei telespettatori. A me piacciono i contrasti. I personaggi letterari forti riescono a produrre altrettanti personaggi. Lolita di Nabokov è, ovviamente, responsabile nella scelta di questo nome. Mi piaceva molto il contrasto con il mondo della Polizia, che quando ho iniziato ad abbozzare questo personaggio, era ancora con un’impronta molto maschile. Sì, c’erano le donne commissario, però la mentalità era ancora maschile. Le donne all’interno della Polizia venivano guardate ancora con scetticismo, con curiosità, figuriamoci una donna che si chiama Lolita, che abbatte questo nome così anticonvenzionale, le barriere, e induce confidenza. Per di più, se hai un aspetto intrigante, più simile a un’attrice che a un commissario, come ce lo s’immagina nell’immaginario comune, l’abbinamento è abbastanza deflagrante».
Il personaggio di Lolita è, quindi, il simbolo di quello che è diventato oggi la donna? Moderna, forte, autonoma, indipendente, sexy, dotata di intelligenza e di umorismo, in un contesto ancora piuttosto maschile e maschilista.
«Sì, può definirsi il simbolo. A me piace anche pensare che Lolita sia una donna moderna, proiettata verso il futuro, che mantiene un passo nelle sue radici e nelle sue tradizioni. Sono convinta che non si possa proiettarsi nel futuro se ci si stacca eccessivamente dal contesto di quello che siamo stati. Lei porta con sé tutta la sua storia, che racchiude anche la storia di una regione e di una cultura del Sud».
Parliamo proprio dei luoghi. Bari e Parigi. I tuoi due luoghi del cuore. Dove si incontrano queste due realtà, apparentemente tanto distanti?
«Diciamo che Bari ha sempre guardato Parigi. C’è anche un famosissimo detto in dialetto barese: “Se Parigi avesse lu mere, sarebbe una piccola Beri”, perché anche Bari ha questa grandeur di pensiero, un po’come Parigi. Sono due luoghi dove, comunque, l’acqua è importante. A Bari l’acqua di mare, a Parigi l’acqua della Senna. C’è quindi il senso della vita che scorre, del ricambio. A causa della pandemia, ormai manco a Parigi da più di un anno. Quando sono lì, cerco di condensare i miei periodi di scrittura. Sicuramente, ambienterò lì qualche episodio di Lolita, magari un intrigo internazionale che la vede muoversi verso la Francia».
Ritorniamo alla fiction, che solo nell’ultima puntata ha raggiunto oltre 7 milioni di spettatori, riscontrando un fortissimo successo di opinione. Come è nata l’idea della trasposizione cinematografica?
«La mia scintilla è legata all’immagine televisiva. Dopo aver letto una decina di libri con protagonista il commissario Montalbano, mi sono imbattuta nella trasposizione televisiva e la scintilla di Lolita è arrivata proprio dall’immagine televisiva di Luca Zingaretti, dalla sovrapposizione del personaggio televisivo con quello letterario, a mio avviso riuscitissima. Probabilmente è a causa di questo. È stata forse una sorte di premonizione. Ho pensato da subito che Lolita potesse arrivare davvero in televisione. Detto ciò, non ho scritto i libri pensando alla televisione. Anzi, io mi concentro molto nelle storie verticali, mentre per la serialità televisiva sono importanti anche le figure orizzontali, quelle caselle sono state poi egregiamente riempite dagli sceneggiatori che hanno lavorato moltissimo sulla linea orizzontale. Già dall’inizio, dal primo episodio, “La circonferenza delle arance”, pubblicato nel 2010, Lolita fu individuata da alcuni produttori per essere portata in televisione. Il primo progetto non andò a buon fine, perché purtroppo venne a mancare il produttore, Bixio, che aveva opzionato Lolita e avviato un percorso di realizzazione. Lolita è rimasta nel cassetto insieme agli altri episodi, fino a che nel 2017 Luca Zingaretti mi ha telefonato direttamente, mi ha detto che insieme a sua moglie Luisa Ranieri gestisce una casa di produzione, una sorta di laboratorio di idee e di talenti. Hanno letto i miei libri, si sono innamorati del personaggio e hanno deciso di portarlo in televisione».
Cosa hai provato nel vedere per la prima volta Lolita prendere forma nei panni di Luisa Ranieri?
«Ho provato due emozioni fortissime. La prima, quando a luglio sono andata la prima volta sul set. Il set si era aperto da un paio di giorni e ho visto ricostruito il commissariato, ho visto Lolita nella prima scena con l’ispettore Antonio Forte. Loro hanno un legame bellissimo, sia nei libri, ma anche nella fiction. E questo legame si respirava sul set. Vedere lei muoversi in questa questura ricostruita è stata un’emozione forte. Un’altra emozione, forse ancora più forte e violenta, l’ho provata a Roma a febbraio, quando sono andata a vedere la prima puntata. Ho avuto per le due ore della proiezione la pelle d’oca: sembrava che il personaggio di Lolita uscisse dalle pagine dei miei libri e mi venisse incontro. Forse, la massima aspirazione di uno scrittore è vedere i suoi personaggi trasformarsi in carne e ossa, io questa emozione l’ho provata ed è veramente bella».
Si nota da come ne parli. Anche adesso riesci a trasmettere quella stessa emozione.
«Sì, mi emoziono sempre moltissimo, anche perché Luisa Ranieri è un’attrice straordinaria che è riuscita “a farsi Lolita”».
C’è qualche personaggio secondario che nei tuoi romanzi avevi delineato in un modo e la fiction ne ha potenziato il carattere, tanto da lasciarti un segno particolare ?
«Sì, sicuramente la sorella di Lolita. Nei miei libri Carmela e Lolita hanno un rapporto molto conflittuale, tra loro è una guerra continua. Invece, nella fiction c’è questa rivalità, ma ci sono anche dei momenti di sorellanza molto belli. Si avverte molto il senso della famiglia, che poi rispecchia profondamente il romanzo. Un plauso, quindi, va agli sceneggiatori per aver apportato questa modifica che ha contribuito ad arricchire la storia».
Un’altra curiosità, che un po’esula dalla letteratura. Nei tuoi romanzi è ricorrente il rapporto con il cibo, come aspetto edonistico della vita, tanto che si concludono sempre con delle ricette culinarie. Qual è il tuo piatto preferito che più ti rappresenta?
«Riso, patate e cozze. Una sorta di bandiera barese, composta sia con prodotti della terra sia del mare, è una ricetta che rispecchia queste due realtà molto presenti nella Puglia. Come sai, io ho anche un’altra serie letteraria, quella di Chicca Lopez – tra l’altro il libro La regola di Santa Croce è uscito da poco per Rizzoli – e mi muovo spesso in Salento. Questa duplicità del territorio è presente anche lì. Il Salento è più conosciuto per la costa e per il suo mare bellissimo, però c’è anche una forte radice legata all’agricoltura del territorio interno. In questo piatto si sposano perfettamente queste due realtà».
Grazie Gabriella. Vorrei che ci lasciassimo con un messaggio positivo per i nostri lettori, a tuo piacimento.
«Resistere. Questo è momento difficile per tutti, ma sta per finire. Mi auguro che ognuno aderisca alla campagna di vaccinazione. Sicuramente, dovremmo rimboccarci le maniche tutti, ma lo faremo armati di ottimismo e di positività. Così come nel dopoguerra, uno dei momenti più bui della nostra storia, c’è stato poi un boom economico, sono convinta che accadrà anche ora, ma solo lavorando tutti insieme».

Sabrina Lembo

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.