Da circa un mese è in corso – nell’intera provincia di Isernia – una raccolta di firme volta ad istituire un referendum che consentirà ai Molisani dell’Ovest di pronunciarsi con un Sì per il ritorno agli Abruzzi.
Ad animarlo un comitato guidato dall’ingegnere isernino Antonio Bucci, la cui tenacia desta da sola un’ammirazione muta, giacché egli propugna questa soluzione da più di 10 anni. A fare eco al fatto è stata la famosa giornalista Milena Gabanelli, sulla Rai nazionale, descrivendo miserie e disastri del Molise. Il bello è che questa raccolta sta suscitando una risposta entusiastica dappertutto. Perché? Risponderei con Hegel che prima o poi la Storia esige i suoi pagamenti.
Si sa bene che chi scrive è un antico sostenitore della riunificazione, seguace di Enzo Delli Quadri, il quale già ai primi anni ’90 cominciò a farsi i conti e previde lucidamente che le pressioni che venivano dal Nord in direzione del federalismo, avrebbero penalizzato definitivamente la nostra microscopica e insignificante regione, e con essa i suoi abitanti.
E’ di questi giorni il varo della temutissima riforma del regionalismo in senso para-federalista: con l’Autonomia Differenziata saranno beneficate le regioni che hanno i numeri per reggersi da sole. E in tutta Italia sono al massimo tre.
Da decenni la Fondazione Agnelli spinge per una riforma delle regioni, auspicando che quelle che hanno meno di due milioni di abitanti siano accorpate ad altre: perché è stato scientificamente calcolato che, in regime di federalismo, questa è la cifra minima di contribuenti da cui trarre la possibilità di finanziare i servizi essenziali, a cominciare dalla sanità.
Già la regionalizzazione della sanità operata da una riforma di D’Alema, ha ampiamente dimostrato che le regioni non sono in grado di mantenere degli ospedali con un minimo di efficienza. Se si continua su questa strada – senza prima fare le macroregioni, come ha fatto la Francia pochi anni fa – lo sfascio del sistema sarà inevitabile.
Certi storici da operetta – servi dei consiglieri regionali – raccontano la conquistata autonomia del Molise con dei toni epici che sarebbero cominci se non facessero da sfondo alla tragedia dei Molisani, prigionieri di una minoranza di politicanti, che li condannano alla miseria pur di non rinunciare alla poltrona, con l’eccezione di pochi, che vorrebbero davvero fare il bene dei cittadini e non ci riescono perché gli altri – più smaliziati e “consapevoli” – si rendono conto in partenza che dalla realtà di una micro regione simile non si può spremere nulla di buono, se non il semplice  mantenimento dei Consiglieri stessi. E qui penso a Franco Giorgio Marinelli, per il quale ho lavorato con onore; e quante volte gli ho letto negli occhi la frustrazione di chi doveva rassegnarsi ad un “sistema” che non permetteva nessuna concreta azione per il bene comune! Direi lo stesso di Andrea Greco, che praltro è stato sempre all’opposizione, e quindi con poco o nullo potere decisionale.
Ma basta leggere i lavori seri di uno storico di alto livello come Luigi Picardi, per vedere che la presuntuosa secessione dagli Abruzzi, nel ’63, ebbe motivi miseri e prospettive da irresponsabili avventurieri. Molti eminenti costituzionalisti si opposero all’autonomia del Molise, profetizzando disastri. A prevalere furono bassi calcoli carrieristici ed elettoralistici il tale deputato che voleva diventare ministro, e non ci sarebbe riuscito se non si creava una regione “tutta sua”, il talaltro che voleva diventare senatore, ed aveva bisogno che i posti da senatore diventassero almeno due, la DC abruzzo-molisana che desiderava ridurre il numero degli elettori regionali, eliminando la parte meridionale, per rubare il quorum a socialisti e missini ed ottenere così ben 9 senatori democristiani invece dei 5 abituali… E quando, alla fine, il “colpo” riuscì, Fanfani riunì nel suo ufficio i parlamentari molisani (tra cui era mio padre) e disse: “Mi avete fatto fare un aborto giuridico!”. E sì che di sospetti di illegalità ce ne sono di gravi, perché la Costituzione prevedeva il distacco di una parte di qualche regione solo a seguito di un referendum… che non fu mai fatto.  Il tutto con l’entusiasmo degli anni del boom economico, e la convinzione che – se pur fosse andata sempre in deficit – questa regioncella, di per sé asfittica, sarebbe stata mantenuta in eterno dal governo centrale. Ora la Storia esige il pagamento: la cuccagna è finita e bisogna far da soli.
Qualche lettore dirà tra sé: “E patrete? Che facette?”. Qui basterebbe dire che non sono certo obbligato ad avere le stesse idee di mio padre Remo, il quale comunque si adeguò per pura disciplina di partito, ma anche perché sperava che finisse l’eterna corsa dei Molisani verso uffici che erano dislocati tra L’Aquila, Napoli, Roma … Magari avrebbe gradito un’autonomia puramente amministrativa, ma non politica, con tanto di Consiglio Regionale. Peraltro, negli ultimi anni, anche lui ammetteva che il mondo era cambiato e “bisognava andare verso le grandi aggregazioni”.
Ci informa Carlo Cottarelli, docente di Economia alla Bocconi e di Milano e alla Cattolica di Roma, direttore dell’Osservatorio Italiano sui Conti Pubblici, che nel 2014 il Molise era in testa alle regioni con il più alto tasso di spesa per il mantenimento del Consiglio Regionale: 177.000 euro per abitante, a fronte di soli 19.800 per il cittadino lombardo. Questa somma enorme ogni molisano la paga sia in accise e in imposte (che gravano pure sulle utenze energetiche) che in rinuncia a servizi degni, perché la Lombardia ha servizi all’altezza dell’Europa, ma il Molise è nel gradino più basso di efficienza sanitaria e globale. Non sono chiacchiere da bar: è l’Istat a informarci che nel 2023 il Molise era la regione con il più basso livello di qualità e di speranza di vita in buona salute (54,9%).
Di recente l’addizionale Irpef ha avuto un aumento regionale del 3,3% per ogni molisano, per contrastare il debito regionale e sanitario.
Il settore infrastrutture (strade, ferrovie, aerotrasporti) giace in un’arretratezza paralizzante; quel po’ di industria che era sorta tra gli anni ’60 e ’70 è tutta in chiusura, come i nostri ospedali. I bilanci della Regione Molise vengono condannati puntualmente dalla Corte dei Conti e dalla Corte dei Costituzionale. E’ aumentato il turismo? Sì, di poco, e non certo per l’efficienza della nostra dirigenza politica: sono gli operatori privati che fanno pubblicità ai loro sistemi ricettivi su internet.
Trascuriamo quelli che dicono “Molise! Molise!” come se tifassero allo stadio, senza che dietro questi slogan del cavolo ci sia un vero pensare, e soprattutto una sufficiente informazione. Altri mi dicono: “Anche l’Abruzzo ha i suoi problemi!”. Bella scoperta! Non abbiamo mai detto che l’Abruzzo è l’Eldorado. L’Abruzzo ha l’11% di famiglie sotto la soglia di povertà. Il Molise il 22%: giusto il doppio. Dall’Abruzzo se nel vanno il 35% dei giovani sotto i 30 anni. Il Molise supera il 60%. Il Molise dal 1971 ha perduto 30.000 abitanti. L’Abruzzo è aumentato di 120.000. Sono dati di Altroconsumo di alcuni anni fa. Oggi probabilmente si sono aggravati. Quelli che paventano disastri se diventiamo “la periferia dell’Abruzzo” mi dicano, se possono, in quale maniera il ritorno all’Abruzzo potrebbe ridurci peggio di come già stiamo. Seppure non avanzasse in nulla il nostro patrimonio di strutture, almeno smetteremmo di pagare da soli – in meno di 300.000 pveracci quanti siamo – un Consiglio Regionale che costa più di quello della Lombardia; riunendoci all’Abruzzo ne pagheremmo uno solo, dividendo la spesa con 1.400.000 concittadini. Il numero abbassa la spesa pro-capite, ovviamente. Difficoltà di raggiungere i capoluoghi d’Abruzzo? Come ci siamo abituati male, in questa micro-regione in cui tutto è vicino! E che dovrebbero dire, allora, i Toscani, gli Emiliani, i Piemontesi, i Calabresi, i Pugliesi, che da sempre hanno regioni vaste con distanze notevoli? E poi siamo nell’era dell’informatica! Oggi si fanno le riunioni online. Basta un PC per parlare con un assessore lontano chilometri. Immaginiamo una selezione dei maggiori centri del territorio, in cui si possano collocare uffici di comunicazione rapida con le istituzioni, nei quali il cittadino si potrà recare senza fare troppa strada né consumare benzina.
E poi, periferia? Siena è periferia della Toscana. Vi pare che soffra? Il Cadore è periferia del Veneto. Vi pare che soffra? Il Salento è periferia della Puglia, la Romagna è periferia dell’Emilia. Vi pare che soffrano? Il vero problema casomai è restare soffocati da una regione-periferia, di cui ancora tanti Italiani non sanno che cosa sia e dove si trovi. Persino per un fatto di semplice dignità culturale, a molti di noi piacerebbe poter rispondere “sono abruzzese”, quando siamo lontani e ci si chiede di dove siamo, senza perdersi in spiegazioni umilianti. Ci piacerebbe tornare – noi che siamo nati abruzzesi, prima della presuntuosa secessione – ad essere conterranei di Ovidio, di D’Annunzio e di Ingazio Silone, del pittore Michetti e del musicista Tosti…
Ma al di là di queste amenità, nutriamo forte il sospetto che se la Provincia di Isernia ritorna all’Abruzzo, si potranno riprendere certi progetti possibili, tipo la superstrada Isernia-Atina, che ci porterebbe a prendere l’autostrada per Roma già sotto a Frosinone, e che servirebbe l’intero Vastese e il Basso-Aquilano. E comunque, l’aver lanciato questa sfida, costringerà Parlamento e Governo e dismettere quell’assurda congiura del silenzio sulle macroregioni, che continua ad affamare i popoli d’Italia per non disturbare il sonno a tanti consiglieri regionali sparsi per lo Stivale. Il Popolo Pentro avrà la gloria di aver agito – per una volta – da pungolo per la sollevazione di un’intera nazione, che soffre ancora per certe isterie della Costituente, che ci portarono a questo costosissimo regionalismo multiplo, incapace di sopportare adeguatamente le sfide della modernità.
Sergio Sammartino

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