«Non scordatevi di Capracotta. E nemmeno di Pescopennataro, Vastogirardi e di tutti quei paesi dell’altissimo Molise che d’inverno restano sospesi tra le bufere e il silenzio delle ambulanze in ritardo». È un grido sommesso, ma tenace, quello che arriva dalla montagna molisana, preoccupata – e non poco – per le notizie che da settimane agitano la popolazione: il possibile ridimensionamento dell’unità di Emodinamica dell’ospedale Veneziale di Isernia. Un reparto vitale, l’unico in tutta la provincia pentra, dove ogni minuto può fare la differenza tra la vita e la morte per chi è colpito da un infarto. «Se salta l’emodinamica a Isernia, per noi vuol dire sperare nella fortuna – dice Maria, 74 anni, di Capracotta – qui i defibrillatori ci sono, ma non bastano. Se una persona ha un infarto, che sia un residente o un turista, chi lo salva? In inverno, con la neve, si viaggia anche a passo d’uomo, quando si riesce a viaggiare». La distanza tra la montagna e Campobasso – dove si trova l’alternativa più vicina per la chirurgia interventistica – è una trappola di tempo e logistica. Un’ora e mezza nei migliori dei casi. Ma basta un po’ di ghiaccio per trasformare quella tratta in un’odissea. «Mi è capitato di perdere mio marito – racconta Lina, voce rotta – faceva la dialisi, poi un giorno c’era neve. I carabinieri, il caos, il silenzio. Non ce l’ha fatta. Non voglio nemmeno ricordare». La paura serpeggia nei racconti, e si fonde alla rabbia: «Questo reparto non va toccato – afferma Luca, 68 anni, ex muratore di Pescopennataro – semmai va potenziato. Qui viviamo come possiamo, da sempre, ma togliere la sanità significa invitarci ad andar via. È come se ci dicessero che non valiamo niente». L’Emodinamica di Isernia non è solo un reparto. È una speranza in più, spesso l’unica, per chi vive in un territorio già penalizzato da isolamento, viabilità precaria e infrastrutture al limite. «Ci rivolgiamo spesso al Pronto Soccorso di Agnone – spiega un operatore sanitario della zona – è più vicino, e nei casi critici permette di stabilizzare il paziente. Ma poi serve un centro attrezzato per l’intervento, e il tempo non sempre è nostro alleato». E proprio Agnone, con il suo ospedale di area disagiata, è un altro nodo della questione: i servizi andrebbero rafforzati, non ridotti. «Se si chiude a Isernia, non resta più nulla da queste parti – conclude un abitante di Vastogirardi – solo chilometri da macinare tra la neve e la paura. Non possiamo vivere così». Il rischio, concreto, è che il progressivo svuotamento della sanità pubblica in aree interne non faccia che accelerare lo spopolamento già in atto, in un circolo vizioso dove meno servizi significa meno residenti, e meno residenti giustificano ulteriori tagli. Ma la voce dei cittadini, oggi, chiede solo una cosa: ascolto. E rispetto per il diritto alla salute, ovunque si nasca o si viva.

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