A oltre 3 anni dall’efferato delitto costato la vita alla 46enne Sonia Di Pinto, si è concluso – in attesa del verdetto – il processo a carico dei 3 imputati, di cui due autori materiali dell’omicidio della donna di Petacciato. Rapina finita in tragedia: 30 gli anni chiesti per gli assassini. È la drammatica vicenda accaduta nella notte del 16 aprile 2022 al ristorante Vapiano di Luxembourg-Kirchberg, dove Sonia, la responsabile del locale, è stata uccisa da chi un tempo era suo collega. Il processo si è aperto nei giorni scorsi davanti alla 12ª camera criminale del tribunale d’arrondissement di Lussemburgo. Alla sbarra, due uomini accusati di omicidio volontario e un terzo imputato per complicità. Il pubblico ministero ha chiesto 30 anni di reclusione per i due principali imputati, evitando la condanna all’ergastolo solo per alcune attenuanti. Secondo la ricostruzione, François, un 30enne senegalese noto anche come “Lamine”, si sarebbe introdotto nel ristorante insieme al suo complice Abdou dopo la chiusura, grazie all’aiuto del cuoco Edu (di cui è stata chiesta l’assoluzione, per mancanza di prove certe), che avrebbe aperto loro la porta. L’obiettivo era una rapina. Ma qualcosa è andato storto. François si è trovato faccia a faccia con Sonia, convinto di essere solo nell’edificio. Preso dal panico — così afferma — l’ha strangolata con le proprie mani. Il complice l’ha poi colpita ripetutamente al volto con una pince regolabile. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso l’intera scena, immagini che i giudici hanno deciso di visionare a porte chiuse per la loro crudeltà. Durante l’udienza, François ha chiesto perdono tra le lacrime: «Chiedo milioni di volte scusa. Sonia era una persona che ha sempre avuto parole buone per me». Ha raccontato di aver agito in un momento di disperazione, spinto anche dal bisogno di soldi per un matrimonio fittizio che gli avrebbe permesso di regolarizzare la propria situazione. Anche Abdou ha ammesso le sue responsabilità, pur dicendosi ancora confuso su quanto accaduto quella notte: «Mi chiedo ogni giorno perché l’ho fatto». Nonostante ciò, dopo il delitto è andato a festeggiare in un locale notturno, fatto che pesa sul giudizio della corte. Il terzo imputato, Edu, ha dichiarato di non sapere nulla del piano criminale. Ha ammesso che era la prima volta, in oltre due anni, che apriva la porta del ristorante a un collega dopo l’orario di chiusura. Ma durante il primo interrogatorio non ha rivelato questo particolare, e solo dopo aver visionato le immagini della videosorveglianza ha cambiato versione. Tra le lacrime, in aula, ha detto: «Non avrei mai immaginato». Il procuratore ha comunque chiesto per lui l’assoluzione per mancanza di prove certe sul suo coinvolgimento diretto. Le parti civili non hanno accettato le scuse degli imputati. L’avvocato della famiglia ha parlato di un atto brutale, disumano e sproporzionato, ben lontano da un gesto impulsivo. «Sonia è stata strangolata per quattro lunghi minuti. Hanno avuto il tempo di fermarsi. Invece hanno spento tutti i mezzi di comunicazione per impedirle di chiedere aiuto.» La famiglia ha richiesto un risarcimento danni per oltre 350.000 euro complessivi, comprensivi di 136.000 euro per il padre, 91.000 per la madre, 55.425 per ciascuno dei due fratelli e 18.000 per il compagno di Sonia. Per il magistrato, si è trattato di un omicidio funzionale alla rapina, un atto compiuto freddamente per eliminare l’unico ostacolo al colpo. Tuttavia, ha riconosciuto due attenuanti: l’età dei colpevoli e il loro presunto pentimento.
La sentenza è attesa il 19 giugno. Intanto, nella sala del tribunale gremita, resta solo il silenzio di una tragedia che ha sconvolto un’intera comunità e portato via per sempre una giovane donna, vittima di una fiducia tradita.