Un anno e sei mesi al datore di lavoro per la tragica morte bianca di Michele Calabrese. È questa la prima risposta giunta dalla giustizia per i familiari dell’operaio bojanese rimasto vittima a soli 43 anni – il 20 novembre 2019 – dell’ennesimo ed evitabile incidente sul lavoro. Ieri, all’esito dell’udienza preliminare del processo, davanti al gip Roberta D’Onofrio e al pm Francesco Santosuosso, Valentino Bernardo, 54 anni, titolare della Edilforniture – la ditta per cui la vittima lavorava da 15 anni e dove si è verificato l’incidente -, ha patteggiato la pena di un anno e sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale. L’uomo, che aveva anche diretto e svolto in prima persona l’attività di scarico di lastre di marmo finita in tragedia quel 20 novembre del 2019, è stato anche condannato a pagare le spese di costituzione sostenute dalla madre e dai fratelli di Michele Calabrese, che si sono costituiti parte civile per il tramite dell’avvocato Fabio Ferrara, del foro di Bari. La famiglia di Michele Calabrese, nell’iter risarcitorio, si è affidata allo Studio3A-Valore S.p.A., attraverso il responsabile della sede di Bari, Sabino De Benedictis. Non hanno invece chiesto riti alternativi R.L., 57 anni, pure lui bojanese, altro dipendente della Edilforniture e collega di Calabrese, nonché F.D.B., 55 anni, di Apricena (Foggia), conducente dell’autocarro che trasportava il materiale: sono stati rinviati a giudizio e per loro il processo proseguirà con la prima udienza dibattimentale fissata al prossimo 7 giugno. Non luogo a procedere, infine, per L.G., 53 anni, di Apricena, legale rappresentante della società di trasporti Aladino proprietaria del mezzo, che non era presente alle operazioni “incriminate” e che il giudice non ha ritenuto responsabile. L’inchiesta condotta ha consentito di ricostruire cosa sia avvenuto quel maledetto mattino.
«Alle 8, nel piazzale esterno della ditta – spiega in una nota stampa lo Studio3A – un autocarro Scania era disposto per lo scarico di blocchi di marmo costituiti da lastre, collocati sulla motrice e sul rimorchio, su entrambi i lati di appositi cavalletti. Le procedure di scarico del materiale erano dirette dal titolare in persona, che movimentava anche una gru con cui prelevava dal camion i blocchi di lastre imbracate con due funi d’acciaio per il successivo deposito sull’area del piazzale. Il camionista, sul pianale dell’autocarro, preparava nel frattempo le lastre da prelevare e imbracava il carico, mentre la vittima e il suo collega, da terra, controllavano l’imbracatura e davano il segnale al loro titolare e gruista per effettuare la movimentazione. A un certo punto però, durante il sollevamento del carico ad opera dello stesso Bernardo, il pacco di lastre sollevato – a causa di un’oscillazione imprevista -, ha urtato il blocco di lastre rimaste sul cassone colpevolmente non legate, provocandone il ribaltamento. Sono appunto le lastre prive di legatura ad aver investito e schiacciato il lavoratore che, altra fatale leggerezza, era posizionato in prossimità della sponda sinistra del camion, proprio al di sotto di dove si trovava il pesante materiale caduto». Tra le varie mancanze, quindi, il datore di lavoro non avrebbe accertato che la vittima non si trovava in posizione di sicurezza rispetto al rischio di caduta delle lastre ancora slegate sul mezzo, e avrebbe pertanto consentito al suo dipendente di eseguire l’imbraco in una zona a rischio infortunistico, cioè sotto le lastre prive di legature. Di qui la richiesta di processo da parte del sostituto procuratore per il reato di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, per il titolare dell’azienda ma anche per le altre persone coinvolte in quell’attività, che – si legge nell’atto del Pm – «collaborando ad operazioni di scarico di blocchi di lastre di marmo da un rimorchio, per negligenza, imprudenza e imperizia e, comunque, in violazione della normativa antinfortunistica di settore, provocavano la caduta dall’alto dei suddetti materiali e l’infortunio mortale di Michele Calabrese». Più specificamente, si imputa loro, a vario titolo, di non aver adempiuto a una serie di obblighi a cui erano tenuti, relativi alla scelta delle attrezzature più idonee per l’esecuzione dei lavori di sollevamento e scarico dei materiali; alla predisposizione delle misure più adeguate a minimizzare i rischi per i lavoratori mediante l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute di materiali dall’alto; all0adozione delle necessarie cautele consistenti nella delimitazione del posto di carico e di manovra degli argani a terra con apposita barriera per impedire la permanenza ed il transito sotto i carichi onde prevenire ed evitare possibili lesioni alla manodopera. «Un quadro accusatorio avallato in toto dal giudice, la dott.ssa Roberta D’Onofrio , se si esclude la posizione del titolare dell’impresa di autotrasporti, e a fronte del quale Studio3A farà di tutto per ottenere per i propri assistiti quell’equo risarcimento che finora l’azienda del lavoratore ha sempre denegato, arrivando contro ogni evidenza anche a negare il proprio coinvolgimento nel tragico infortunio: un atteggiamento che dovrà necessariamente cambiare alla luce del patteggiamento del proprio legale rappresentare con la relativa, piena ammissione di responsabilità» conclude la nota dello Studio 3A.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.