«Con l’istituzione del Parco nazionale del Matese, l’attuale governo di destra ha compiuto un atto che smentisce clamorosamente le sue stesse promesse elettorali e tradisce il mandato politico ricevuto da un ampio segmento della popolazione: quello rurale, agricolo e venatorio, che aveva creduto nella narrazione di una destra “vicina al territorio”». È il duro affondo dei comitati Matese Libero, Agricoltori e allevatori del territorio, No Parco territorio libero e dell’associazione nazionale Tutela rurale, alla luce della costituzione del Comitato di gestione provvisoria dell’Ente istituito con legge nazionale nel lontano 2017 e arrivato a una svolta nei mesi scorsi col decreto ministeriale che ha dato il via libera alla perimetrazione provvisoria e alle clausole di salvaguardia, questioni poi finite al centro di una vicenda giudiziaria che ha visto il Tar della Campania accordare la sospensiva alle norme di tutela dopo il ricorso di Comuni, realtà del territorio e ditte operanti nell’ambito del settore estrattivo e della produzione del cemento.
«Quello che doveva essere un baluardo contro le imposizioni centralistiche si è rivelato, ancora una volta, una manovra politica mascherata da tutela ambientale – affermano i Comitati che in questi anni hanno rappresentato il fronte contrario al Parco -. Il governo, pur dichiarandosi contrario ai vincoli imposti dall’alto e sempre pronto a difendere le libertà delle comunità locali, ha di fatto ratificato e portato a compimento una proposta di Parco nazionale avanzata e voluta da precedenti governi di centrosinistra. Nessun processo partecipativo, nessun vero confronto con le comunità interessate: una scelta calata dall’alto, in piena continuità con le logiche centralistiche contro cui la destra stessa aveva tuonato per anni.
Ma il paradosso non finisce qui – proseguono -. Secondo quanto trapelato, il governo avrebbe già indicato alla Presidenza del Comitato di Gestione del Parco un proprio uomo di partito, trasformando quello che dovrebbe essere un ente tecnico, super partes e radicato sul territorio, in un altro carrozzone politico. Una nomina che appare tanto più grave perché rappresenta l’ennesima conferma di come le logiche di spartizione del potere abbiano la meglio sulle competenze e sull’effettiva rappresentanza degli interessi locali.
Chi ha creduto nella retorica della “destra del popolo” oggi si trova spiazzato. Il mondo rurale, i cacciatori, gli agricoltori e le piccole comunità montane che si oppongono da anni a un Parco nazionale percepito come estraneo e punitivo, si ritrovano traditi da chi aveva promesso di difenderli. Con un’aggravante: almeno il centrosinistra ha sempre dichiarato apertamente la propria visione ambientalista e statalista; la destra, invece, ha fatto campagna elettorale su posizioni opposte, per poi applicare le stesse identiche politiche una volta al governo.
Siamo dunque di fronte a una finta contrapposizione politica, dove i nomi cambiano, ma le logiche restano immutate. Il potere si perpetua, i territori si svuotano, e le decisioni che li riguardano vengono prese nei palazzi romani, lontano anni luce dalla realtà quotidiana di chi vive e lavora in montagna.
Come recita un vecchio detto popolare, “se non è zuppa è pan bagnato”. E in questo caso, a rimetterci sono ancora una volta l’Italia vera, quella che non ha voce nei salotti della capitale, e gli italiani che chiedevano solo rispetto, autonomia e coerenza».
Una presa di posizione netta, quella dei comitati firmatari della nota, che arriva dopo anni di battaglie condotte per fermare l’istituzione dell’Ente o comunque affinché quest’ultimo fosse realmente rispondente alle esigenze dei territori coinvolti.

























