Prosegue a vele spiegate il progetto della Onlus Plastic Free sul territorio, con l’impegno sempre più tenace da parte dei referenti e dei volontari coinvolti.
È di queste ore la firma del protocollo d’intesa tra il Comune di Ripalimosani, per il tramite del sindaco Marco Giampaolo e l’avvocato Giuseppe Fabbiano, referente Plastic Free per la Provincia di Campobasso.
Un ringraziamento va al sindaco e a tutta l’Amministrazione Comunale per aver sposato sin da subito l’obiettivo di tutela ambientale dell’associazione.
«L’Amministrazione da me capeggiata è stata la prima ad aver introdotto il servizio di raccolta differenziata “porta a porta”, nel 2021, e si è sempre dimostrata in linea con gli obiettivi di difesa ambientale e del territorio – afferma il primo cittadino Giampaolo – e l’accordo oggi siglato non è altro che un continuum con gli obiettivi che questa Amministrazione si è da sempre posta, rappresentando anche un impegno verso la cittadinanza grazie al connubio con Plastic Free».
Con la sottoscrizione del protocollo si dà il via a numerosi eventi di natura volontaristica, che coinvolgeranno gli alunni delle scuole di vario ordine e grado, così come eventi di Clean Up o passeggiate ecologiche, ed altri progetti che verranno presentati nei prossimi mesi che vedranno la collaborazione diretta anche di altre Istituzioni locali.
I ricercatori dichiarano che dagli anni ’50 abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Di questi il 9% è stato riciclato, il 12% incenerito e il 79% accumulato in discariche o rilasciato nell’ambiente. Secondo gli scienziati, se continuiamo a produrre con gli stessi ritmi di oggi, entro il 2050 nei nostri oceani ci sarà più plastica che pesci.
Purtroppo per noi, il 99% della plastica è generata da prodotti chimici derivanti dal petrolio, gas naturale e carbone, tutte risorse “sporche” e non rinnovabili. Le previsioni per il futuro indicano che entro il 2050 l’industria della plastica sarà responsabile del 20% del consumo mondiale di petrolio. Non è solo la produzione, bensì tutto il ciclo vitale della plastica che contribuisce al cambiamento climatico, attraverso un aumento delle emissioni di CO2.
Il Centro di Legge Ambientale Internazionale (Centre for International Environmental Law), in un suo Report del 2019, ha stimato che la proliferazione di materie plastiche rappresenta una seria minaccia non solo per l’ambiente, ma anche per la nostra salute. Inoltre, il Report ha dichiarato che l’attuale economia plastica (plastic economy) è fondamentalmente inconsistente con l’Accordo di Parigi che, di fatto, mira a ridurre le emissioni al livello planetario.
In secondo luogo, un altro dato preoccupante è che nonostante sia largamente riconosciuta, la vera portata dei rischi climatici relativi alla plastica non è quantificata né documentata. A tal proposito, i rischi di questa “ignoranza sistemica” sono specialmente evidenti per quanto riguarda l’impatto della plastica sulla capacità degli oceani di agire come depositi di carbonio. Ogni anno il 93% degli oltre 300 milioni tonnellate di rifiuti di plastica prodotti finisce nelle discariche e negli oceani.
Questi rifiuti, decomponendosi, si trasformano in petro-polimeri sempre più piccoli e tossici: le “microplastiche”. Queste ultime sono state trovate addirittura nel sangue umano e nella placenta, con gravissimi pericoli per noi ma soprattutto per le future generazioni.
«È necessario che ognuno di noi cerchi di modificare i propri comportamenti quotidiani, in un’ottica di circular economy – riuso degli oggetti -, in attesa che il Regolamento Europeo in materia di produzione di plastica e sostenibilità ambientale, ancora in bozza, faccia luce sulle modalità di produzione degli oggetti di plastica monouso oltre sui doveri cui ogni cittadino sarà chiamato, in un’ottica di sostenibilità», spiega l’avvocato Fabbiano.
Negli ultimi anni, dal 2018 in poi, l’Unione Europea ha dato impulso ad un’attività normativa volta alla riduzione delle emissioni di CO2 e la riduzione di plastica monouso; in questo progetto rientra a pieno titolo il riciclaggio della plastica. L’ottica, dunque, è quella di lavorare per ridurre la quantità di rifiuti prodotti e favorire il loro riciclaggio, per permettere alla plastica eliminata di avere una seconda vita.
Questo è il modello tanto auspicato di economia circolare, in cui i rifiuti non vengono semplicemente eliminati ma diventano una materia prima per ulteriori cicli di produzione.
In quest’ottica si inserisce il cd. rPET, il PET (polietilene tereftalato) prodotto dal petrolio greggio e dal gas naturale a sua volta riciclato; si tratta di una soluzione innovativa e di maggior sostenibilità che riduce via via la produzione di plastica da materiale “vergine”, preferendo il riuso della plastica stessa.
È pure vero, tuttavia, che in base a recenti studi le microplastiche, nanoparticelle derivanti dall’intervento di agenti atmosferici sulle plastiche disperse in natura, sono state trovate all’interno del sangue umano e nella placenta (cfr. ricerca del dott. Antonio Ragusa, direttore Uoc ostetricia e ginecologia Fatebenefratelli), a dimostrazione che la plastica non è solo nelle nostre vite ma letteralmente nel nostro organismo.
Gli effetti non ancora si conoscono con certezza ma è altrettanto vero che si tratta pur sempre di materiale esterno, e non decomponibile, che potenzialmente può intaccare il nostro organismo.
Quindi, cosa fare? La domanda non è di semplice risposta. Da un lato è evidente che non siamo ancora pronti per una vita interamente senza plastica. Va riconosciuta l’importanza che la plastica ha avuto ed ha in determinati settori della nostra vita, come ad esempio quello sanitario. È pur vero che la plastica monouso è quella che oggi ha una fortissima incidenza sulla nostra vita e sull’inquinamento.
Secondo recenti dati pubblicati sulla rivista Plos One nei nostri mari ci sono oltre 170.000 miliardi di frammenti di plastica (cd. microplastiche) che galleggiano in superficie, per un peso complessivo di 2,3 milioni di tonnellate, e la velocità con cui vengono immessi in acqua è destinata quasi a triplicare entro il 2040.
I dati sono incontrovertibili e ci dicono che è necessario ridurre la domanda quotidiana di plastica monouso, partendo dalle piccole abitudini di vita quotidiana come ritornare ai saponi solidi, preferire spazzolini in bambù e tanti altri metodi che sicuramente portati avanti insieme, e da tutti, non può che condurci ad un vero cambiamento.

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