Il Molise dal 1940 al 1943 ospitò cinque campi di internamento: Agnone, Bojano, Casacalenda, Isernia e Vinchiaturo. Sulla facciata del Palazzo Nonno, sede di quello di Vinchiaturo, nella giornata della Memoria di gennaio 2023 venne apposta una targa a futura memoria. La tematica dei campi di concentramento ed internamento è stata approfondita nell’anno scolastico 2011/2012 dagli alunni della primaria di Vinchiaturo, classe IV, insieme alle insegnanti Orsola Perrino e Maria Lucia Caruso e V, con le insegnanti Maria Pistilli e Luisa Infante, raccolta poi nel volume “Il Quaderno della Memoria” che può essere consultato con numerosi altri testi a tema al secondo piano della Casa della Cultura. Le stesse tematiche furono trattate nella tesi di laurea della vinchiaturese Ilaria Renzi dal titolo “Le dinamiche di gruppo nei campi di concentramento nazisti: una lettura in chiave psicologica”. Uno stralcio in riferimento alle dinamiche di gruppo in Molise”.
Il campo di concentramento femminile di Vinchiaturo, sito in un edificio privato di proprietà di Domenico Nonno, ben separato dalle altre abitazioni, ha una capienza di sessanta persone, e ha ospitato 145 donne, di cui metà ebree, di nazionalità tedesca, italiana, slava, francese, polacca russa, rumena, croata e ceca. Il gruppo più numeroso è composto da ebree tedesche e polacche, internate per motivi razziali, di svariate professioni, tra cui si trovano medici, insegnanti, pittrici e artiste.
Dal 1941 molte croate sono internate sia per motivi razziali che per sospetti connessi alla linea politica. Molte di loro sono trasferite in altri campi o in quelli di internamento libero, ma un gruppo di trentasette internate rimane nel campo sino all’arrivo degli Alleati.
Le internate possono uscire solo due volte al giorno in un’area periferica del paese, disponendosi in fila e sempre sorvegliate e scortate da sei agenti; non possono avere contatti con nessuno né derogare al limitato tempo a loro disposizione. Non è raro che in piccoli gruppi escano dal campo per recarsi a fare acquisti dai negozianti del paese. La rigida disciplina della Direttrice impedisce alle internate di consumare i propri pasti quando si presentano a mensa in ritardo rispetto all’orario stabilito, situazione assai frequente a causa della scarsità dei servizi igienici rispetto al numero delle internate presenti, le quali non riescono a lavarsi in tempo per la colazione”.
Nei giorni scorsi dalla Francia, Regione della Champagne, è arrivato a Vinchiaturo Pierre Rival con la moglie proprio per conoscere il luogo dove fu internata la mamma apolide di origini polacca, nata in Svizzera e poi con nazionalità francese. È stato ricevuto dal sindaco Luigi Valente che ha donato ai coniugi il gagliardetto comunale e ha messo a loro disposizione tutti i documenti relativi alle internate e alla gestione del campo da parte della direttrice Rina Martino.
Pierre e la moglie, prima di visitare le stanze di palazzo Nonno, hanno potuto ascoltare dalla viva voce di Dina Pistilli, che ha abitato fin dall’infanzia vicino al campo di internamento e ultima testimone della presenza delle internate a Vinchiaturo, ricordi di quei tempi. Così il figlio, nel lungo colloquio, ha potuto conoscere a fondo le sofferenze dall’allora giovane mamma vissuta in quel luogo di prigionia. Sofferenze mai esternate dalla mamma, che dovette ricorrere anche a false generalità per nascondere la sua identità ebraica; e intervallate anche da qualche evento esilarante come i bigliettini che i giovanotti del paese facevano recapitare alle internate o la scala che appoggiavano nottetempo alle finestre per tentare di raggiungerle nel palazzo.
Rival a breve darà alla stampa un libro, “Fuori le Mura. Quadri di una diaspora”, nel quale sicuramente riporterà, insieme alla fine tragica nei campi di sterminio di alcuni suoi familiari, quei drammatici anni di internamento della mamma che però ebbe salva la vita.
Al termine dell’incontro la maestra Pistilli ed il professore universitario Fabrizio Nocera, curatore tra l’altro delle mostre sugli ebrei ed i campi di concentramento in Molise e di quelli fascisti in Abruzzo e Molise, hanno accompagnato la coppia nel Palazzo Nonno, grazie alla disponibilità della famiglia Salluzzi eredi. L’emozione per Pierre e la moglie è stata grande nel visitare al piano terra l’ingresso antico, con accesso alla cucina del campo, il primo piano con stanze adibite ad uffici, dove la direttrice e i suoi collaboratori svolgevano le attività burocratiche, e attraverso una scala il secondo piano con le stanze dove le internate trascorrevano le giornate in ambienti superaffollati, freddi d’inverno e caldissimi d’estate. E così il pensiero è andato oltre alla mamma anche a quelle ragazze giovani, infreddolite, private della loro libertà, lontane dal loro paese e dai loro affetti. Visto il valore di quelle mura e la storia che esse racchiudono, è auspicabile, come condiviso da numerose persone, che Palazzo Nonno possa diventare un museo della memoria.
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