I legali lo avevano preannunciato già quando vennero depositate le motivazioni della sentenza. Ora sono passati ai fatti: gli avvocati Mariano Prencipe e Giuseppe Stellato hanno impugnato la sentenza primo grado che ha condannato Gianni De Vivo a 15 anni e quattro mesi di reclusione per i reati di omicidio volontario, rissa, lesioni personali e detenzione di coltello. Per la Corte D’Assise non ci fu premeditazione, ma il 39enne che la sera della Vigilia di Natale del 2021 ferì a morte con un fendente alla gola Cristiano Micatrotta, al culmine di una lite scoppiata in via Vico per motivi di droga, non ha agito per legittima difesa né per un eccesso di legittima difesa, come avevano invece chiesto i difensori. Troppo squilibrato, riporta la sentenza di oltre 70 pagine, il rapporto tra chi aggredisce a mani nude e chi dispone di un coltello con una lama di 13 centimetri.
La difesa aveva chiesto il rito abbreviato in fase di udienza preliminare, che non poteva essere concessa per un reato che in ipotesi prevede l’ergastolo per l’eventuale premeditazione. L’aggravante, del resto, era stata esclusa anche dalla pubblica accusa che, al termine della requisitoria, aveva chiesto 21 anni e tre mesi per omicidio volontario. Dunque, venuta meno la premeditazione, ha scritto il giudice nella motivazione, può invece essere concesso, il rito abbreviato, con le riduzioni della pena previste dal codice. Nel documento il giudice Salvatore Casiello ha ritenuto concordanti le prove e le testimonianze raccolte la notte del 24 dicembre del 2021 per arrivare alla condanna dell’imputato.
Per l’avvocato Mariano Prencipe, invece, nella sentenza «sono stati tralasciati ed omessi diversi e significativi elementi che pure erano stati prodotti come fotografie e filmati che minavano alla radice importanti elementi di accusa. È una motivazione che valorizza solo l’operato dell’accusa e la dimostrazione più evidente è che mai vengono riportati i passaggi delle domande poste dalla difesa e delle contraddizioni, insanabili, in cui è incorso il testimone Di Mario (uno dei presenti la sera della vigilia in via Vico, insieme alla vittima e a Madonna, ndr) su cui si fonda esclusivamente l’affermazione di responsabilità». Dunque si torna in aula per il secondo grado.
La vicenda partì per una questione di droga, una presunto raggiro su un piccolo quantitativo di cocaina ceduto da Micatrotta a De Vivo, considerato di scarsa qualità. Prima le minacce e gli insulti attraverso messaggi whatsapp tra De Vivo e Madonna, cognato della vittima, alla quale erano destinati gli improperi perché De Vivo non aveva il numero di cellulare.
Lo scontro in via Vico, a poche decine di metri dall’abitazione di Gianni De Vivo. Prima spintoni e qualche calcio, come ha raccontato nel corso del processo un vicino di casa che aveva visto il terzetto litigare nel piazzale sottostante. Poi l’improvviso colpo sferrato alla gola con un coltello da cucina. Un solo fendente. Fu un automobilista di passaggio a soccorrere Cristiano Micatrotta, mentre perdeva sangue dal collo e dalla bocca. Un colpo mortale che gli aveva lesionato l’arteria e provocato la morte per asfissia in pochi minuti, come ha ricostruito il medico legale nell’autopsia.
De Vivo, nel corso del dibattimento, ha sempre dichiarato di non aver portato con sé il coltello, ma di essersi difeso dall’aggressione dei tre, Madonna, Micatrotta e Di Mario.

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