Fuori dalle logiche e dagli schemi di partito ha lanciato, già da dicembre scorso, un contenitore civico formato da professionisti, associazioni e cittadini, per invertire la rotta. Con questa mission l’avvocato Pino Ruta ha deciso di tentare la scalata allo scranno più alto di Palazzo San Giorgio con un programma concreto e realizzabile.
Al di là del ruolo istituzionale e delle responsabilità in capo ad un sindaco di un capoluogo di regione, cosa significherebbe per lei diventare il primo cittadino di Campobasso?
«So bene che amministrare un capoluogo di regione significa dover assumere un impegno ed una responsabilità assai rilevanti, avendo lavorato per oltre 35 anni come avvocato e consulente per conto di molti enti locali ed anche di importanti amministrazioni pubbliche (dal Comune e dalla Provincia di Campobasso, ai comuni di Termoli e di Isernia, fino ad arrivare a decine di piccoli comuni molisani ed al Ministero delle Infrastrutture lavorando come consulente del ministro Di Pietro, dal 2006 al 2009, presso la Struttura Tecnica di Missione ovvero per l’attuazione della legge Obiettivo sulla realizzazione delle opere strategiche nazionali quali autostrade e porti). Proprio alla luce di questa attività che ho svolto e che sto svolgendo sulle questioni amministrative più complesse – da quella urbanistiche e sanitarie, alle tariffe idriche, a quelle ambientali ecc.- so bene che si tratta di un impegno che mi costringerà a ridurre, in modo significativo, la mia attività professionale per provare, però, ad avviare, sul fronte dell’attività anche politica, un percorso virtuoso per la mia città. E’ inutile dire che molti, compreso mia moglie, gli amici più stretti ed anche i colleghi, mi hanno detto e ripetuto che è una follia, sotto tutti i punti di vista. Credo che abbiano anche ragione, ma penso tuttavia che nella vita di ognuno arrivi il momento in cui ci si sente pronti per cominciare a restituire, almeno in parte, alla comunità, ciò che si è ricevuto, provando ad avviare un percorso virtuoso: in questo senso l’obiettivo, prudente, che mi sono dato, al netto di tanti facili programmi spesso tradotti in libri dei sogni, è solo quello di invertire la rotta e provare a tirar fuori la mia città dal tunnel involutivo nel quale l’hanno trascinata negli ultimi venti anni».
Tra pochi giorni scadono i termini per la presentazione delle liste, a che punto siamo con la composizione della sua “squadra”?
«Abbiamo ormai terminato la nostra squadra che si compone di circa 80 candidati distribuiti su tre liste civiche: Costruire Democrazia, Unica Terra (lista ambientalista) e Confederazione civica.
Prescindendo dal numero dei candidati, che comunque dà la cifra di un vero e proprio movimento d’opinione (molto più esteso) che si è costruito intorno al Cantiere Civico -coinvolgendo da circa un anno su progetti ed incontri decine e decine di operatori, associazioni, professionisti – credo che il dato significativo emerso è che Campobasso ha ancora una forte reattività sociale che merita un’offerta politica alternativa: ci sono tantissime persone che, senza alcun interesse clientelare e/o occupazionale e/o di altra natura, hanno deciso di voler cambiare e migliorare il contesto in cui viviamo, che non sono rassegnate e che, proprio per questo, sono disposte anche a metterci la faccia (cosa assai difficile in questi momenti bui della politica)».
A differenza delle elezioni regionali, per le amministrative di Campobasso è previsto il voto disgiunto. Crede che questo sistema possa penalizzare la sua coalizione? Teme il ballottaggio o pensa si possa vincere al primo turno?
«A differenza dei miei concorrenti che hanno fondato, principalmente, la propria riuscita sull’apparato dei partiti, ovvero su vere e proprie schiere di candidati ancora una volta organizzate dai soliti protagonisti della vecchia politica (in taluni casi, costituite, ancora oggi, con modalità dubbie al limite del clientelare), facendo leva su parentele, rapporti di lavoro, affinità in grado di annichilire ogni forma di pensiero politico dell’elettore, credo che il voto disgiunto sia l’ultima frontiera di democrazia e di libertà: in questo senso ho fatto affidamento, sin dall’inizio, su questa possibilità che il nostro ordinamento offre proprio al fine di far recuperare all’elettore un minimo di autonomia e di scelta (peraltro, non è un caso che proprio questa possibilità è stata oggetto, qualche settimana fa, di un maldestro tentativo di abrogazione, in Parlamento, da parte della Lega: tentativo fortunatamente naufragato. A onor del vero, al pari di quanto fatto per la legge elettorale regionale dal centrosinistra nel 2018).
Quindi non solo non temo né il voto disgiunto né il ballottaggio, ma li auspico, anche perché le voci scomposte sulla cd. “anatra zoppa” non mi sembra abbiano riguardato l’ultima elezione, né altre campagne elettorali ben riuscite (come quella di De Magistris, candidatosi a Napoli contro tutti i partiti ed eletto sindaco per ben due volte).
Peraltro, proprio in modo coerente con lo spirito democratico di questa legge, abbiamo coniato il motto del cantiere civico “scegli un sindaco non un partito” (volutamente frainteso o strumentalizzato da altri), ritenendo che gli interessi della città vadano sottratti agli appetiti dei partiti politici che spesso l’hanno utilizzata per altri fini, ovvero per piazzare funzionari di partito spessi inadeguati su segmenti sensibili.
Peraltro, l’autonomia della nostra città oggi sconta anche la necessità di sottrarla la ruolo di succursale di Termoli o di retrobottega di Venafro nel quale è stata relegata dai vertici della destra, per restituirle le giuste attenzioni di un capoluogo di Regione».
Veniamo al programma. Quali, secondo lei, le priorità per Campobasso e gli interventi non più rinviabili?
«Innanzitutto la risoluzione del problema della raccolta dei rifiuti, organizzata e gestita dalle ultime due amministrazioni (quella del PD e quella dei 5S) in modo davvero inappropriato: sarebbe stato sufficiente copiare la modalità con la quale la gestiscono in quasi tutti i comuni per restituire alla città funzionalità e decoro senza creare problemi continui ai cittadini.
Inoltre la programmazione, a partire da quella urbanistica, del centro storico, del borgo murattiano e delle contrade, che versano davvero in una condizione di abbandono (i nostri strumenti urbanistica hanno oltre mezzo secolo e non sono mai stati aggiornati: nessuno si è posto il tema ed è riuscito a cambiarli mentre la società è cambiata): gli accordi pubblico-privati, ad iniziativa anche privata, oggetto di approfondimenti di un nostro convegno con la presenza di ordini professionali, professionisti, operatori economici e cittadini, potrebbero da soli avviare il percorso di recupero delle aree degradate, sviluppando e liberando energie e risorse, premiando idee e meriti, risistemando al tempo stesso aree abbandonate priva delle minime infrastrutturazioni (come le contrade).
Non ultima la questione sanitaria (che confluisce sul futuro dell’Università, dell’ex Cardarelli e dell’ex Gemelli) e quella sociale: quest’ultima si intreccia con quella dell’inclusione della sicurezza, oltre che della diffusione di stupefacenti e che sta trasformando la nostra città in una città poco sicura se non si apprestano misure preventive sulla mediazione culturale, sull’assistenza agli ultimi e sulle dinamiche giovanili».
La questione relativa alla vendita dell’ex Roxy da parte delle Regione tiene banco da mesi, un tema particolarmente sentito tra l’elettorato. Qual è la sua posizione?
«La nostra posizione è stata sempre la stessa: intraprendemmo, oltre dieci anni fa, una vera e propria battaglia giudiziaria contro la giunta del PD di Di Fabio, che d’intesa con la Regione e con il governatore Michele Iorio aveva sottoscritto un accordo di programma per cementificare tutta l’area dell’ex Romagnoli con oltre 50.000 mc.
Quella battaglia la vincemmo con un movimento di cittadini e consumatori e oggi siamo soddisfatti che, scongiurato il pericolo di una scelta urbanisticamente scellerata, lo abbiano capito tutti.
Ovviamente, sulla possibilità ovvero sulla necessità di recuperare il fabbricato dell’ex hotel Roxy per costruirci il palazzo della Regione o uno studentato (in grado di connettere il centro all’Università) siamo perfettamente d’accordo: ma nei limiti delle cubature preesistenti e di una destinazione d’uso direzionale o ricettiva, restituendo al borgo murattiano la propria originaria destinazione direzionale e formativa conferitagli nel 1800 dal piano urbanistico dell’architetto Musenga.
Quanto all’area ancora libera: verde attrezzato e parcheggi a servizio del centro».
Perché gli elettori dovrebbero preferire lei e la sua proposta programmatica rispetto a quella dei suoi avversari politici?
«Se gli elettori ritengono che la città sia stata amministrata bene in queste anni dalle amministrazioni che si sono susseguite, di destra o di sinistra, possono continuare a votare gli stessi partiti e gli stessi politici (anche loro non cambiano quasi mai).
Se invece ritengono che in questi ultimi venti anni la città sia andata peggiorando, credo che possano quanto meno provare a cambiare e dare fiducia a persone che non hanno mai amministrato, facendo altro nella loro vita, e che oggi propongono, dati alla mano, un cambiamento vero e tangibile».

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