Ieri mattina nelle piazze italiane è stata celebrata la Giornata nazionale dedicata alle persone con sindrome di Down. L’iniziativa, come ogni anno, è stata realizzata anche a Campobasso, dove i ragazzi dell’Aipd, unitamente a volontari e familiari, si sono dati appuntamento in piazza Municipio per l’annuale vendita delle tavolette di cioccolata fondente dell’azienda Papa, il cui ricavato verrà utilizzato per sostenere le attività dell’associazione.
Quest’anno, oltre al nobile scopo dell’iniziativa, l’obiettivo è stato quello di ribadire un concetto già promosso in tutta Italia nel corso del Downtour, il camper di sensibilizzazione dell’Aipd che ha fatto tappa nei mesi scorsi anche a Campobasso, ossia: “Da 40 anni combattiamo una sola malattia: il pregiudizio”.
«Come ogni anno anche oggi si celebra la giornata nazionale dedicata alle persone con sindrome di Down – spiega l’operatrice e volontaria Aipd, Lucrezia Pignataro – con l’iniziativa di oggi, però, cerchiamo di riprendere anche il discorso contro il pregiudizio iniziato lo scorso 21 marzo. In questi anni abbiamo assistito ad una crescita dei ragazzi. Per noi volontari si tratta sicuramente di un ambiente particolare e le difficoltà, come accade in ogni altro contesto lavorativo, di certo non mancano. Ma è un lavoro che arricchisce dentro e che ci rende persone diverse, in un certo senso migliori, perché ci aiuta a metterci nei loro panni. Ed è per questo che anche oggi siamo qui, contro ogni forma di pregiudizio, per sensibilizzare la comunità e ribadire un messaggio fondamentale, ossia che siamo tutti uguali, che tutti meritiamo di lavorare e che ognuno di noi può vivere da solo ed avere la propria autonomia. Un messaggio che deve espandersi oltre i confini della nostra associazione per raggiungere chiunque pensi ancora che ‘disabile’ significhi ‘diverso’».
In piazza, oltre alla vendita della cioccolata, ragazzi e volontari si sono cimentati in diverse attività e laboratori. Tra questi lo “Yoga della risata”, una pratica di origini indiane, collegata alla respirazione, che consiste nell’indurre una risata attraverso gesti e vocalizzi fino a scatenarne una vera e spontanea. La risata permette al corpo di rilasciare endorfine e ciò comporta un rilassamento e uno stato di benessere generale.
L’iniziativa ha fatto tappa anche in altri comuni molisani e ha visto la partecipazione di molti cittadini che hanno voluto contribuire alla raccolta fondi a sostegno dell’Aipd.
L’associazione molisana da anni ormai, sotto l’attenta guida della presidente Giovanna Grignoli, è riuscita a realizzare ambiziosi progetti (un tempo ritenuti impossibili) e a costruire, tassello dopo tassello, grazie al contributo prezioso di volontari ed operatori, un ambiente stimolante e costruttivo che punta quotidianamente a rendere autonome le persone con sindrome Down.
Un concetto importante, dunque, fondamentale per chi vive questa realtà e per le famiglie dei ragazzi.
Tra i temi cari all’associazione anche il “Dopo di noi” ossia la legge emanata nel 2016 che punta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave. Una legge che però, in regione, sembra essere ancora un’utopia.
«In Molise con il “Dopo di noi” siamo ancora al punto zero – spiega Giovanna Grignoli -. La legge 112 del 2016 era stata una grande speranza per noi e può ancora essere un’importante occasione. Ma il modo in cui la Regione Molise l’ha recepita e la maniera in cui ha gestito i bandi non ci hanno permesso di partecipare poiché richiedono cose molto complicate. Il nostro desiderio di associazione non è immaginare un ‘dopo di noi’ solo quando le famiglie non ci saranno più, ma anche preparare i ragazzi a questo distacco. Un lavoro che già portiamo avanti attraverso le attività del centro diurno. Un po’ alla volta, infatti, cerchiamo di far relazionare i ragazzi con figure extrafamiliari che, in un modo o nell’altro, potranno occuparsi di loro. L’obiettivo è quello di riuscire a creare una casa a modello familiare dove persone con sindrome di Down possano abitare e vivere la propria quotidianità con l’aiuto di un tutor. Sempre nella massima autonomia, ma mentre i genitori sono ancora in vita. A Roma e in altre città questo progetto è già stato sperimentato. Speriamo di riuscire anche noi a raggiungere questo obiettivo».
Il problema, però, non sembra limitarsi solo a livello istituzionale. Secondo la presidente c’è da lavorare anche sotto altri aspetti: «Oltre ad ottenere gli strumenti giusti da parte delle istituzioni per realizzare questo obiettivo, bisogna anche realizzare un lavoro di ‘cultura’ sulle famiglie. Quando nasce un bambino con sindrome di Down la prima domanda che si pongono i genitori è: “Cosa accadrà quando non ci saremo più?”. Però poi, purtroppo, quando si affronta la questione spesso l’argomento diventa un tabù perché le famiglie non sono pronte. Purtroppo è un argomento doloroso ma va assolutamente affrontato per tempo perché, quando poi avviene, si rischia di non riuscire a gestire la situazione».

SL

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