Il rinvio del nuovo piano industriale di Stellantis, inizialmente atteso entro marzo 2025 e ora posticipato almeno fino a giugno, apre un nuovo capitolo di incertezza per gli stabilimenti italiani del gruppo, a cominciare da quello di Termoli. A denunciare la gravità della situazione è Marco Laviano, segretario nazionale della Fim-Cisl, che in una nota e in un intervento pubblico ha espresso tutta la preoccupazione dei lavoratori per una decisione che rischia di dilatare ulteriormente i tempi delle scelte industriali e di condannare migliaia di famiglie a un futuro di precarietà e ammortizzatori sociali. Il nuovo piano industriale del gruppo, guidato dall’amministratore delegato Antonio Filosa dopo il recente avvicendamento ai vertici, sarà presentato “entro il primo semestre 2026”, come confermato nelle ultime ore. Una decisione che, se da un lato potrebbe essere letta come la volontà di rivedere strategia e governance alla luce dei cambiamenti del mercato globale, dall’altro comporta, secondo i sindacati, «l’ennesimo rinvio delle risposte attese da mesi» e soprattutto «una penalizzazione per i siti produttivi italiani, già provati da anni di cassa integrazione e riduzione dei volumi». Per Laviano il messaggio è chiaro: «La possibilità che il piano industriale venga posticipato di ulteriori sei mesi, o comunque entro il primo semestre del 2026, da un lato può essere valutata come un tentativo di ridefinire il quadro strategico, ma dall’altro per noi rappresenta un segnale critico. Noi aspettiamo risposte concrete da troppo tempo, soprattutto per Termoli, dove i processi di reindustrializzazione sono ancora sospesi». Lo stabilimento molisano, destinato in teoria a diventare uno dei poli europei della transizione energetica con la Gigafactory per la produzione di batterie elettriche, è da mesi al centro di un limbo industriale. Gli investimenti annunciati tardano a concretizzarsi, le produzioni sono ridotte e la cassa integrazione resta lo strumento prevalente di gestione della forza lavoro. «Oggi Termoli vive con buona parte dei lavoratori in cassa integrazione — denuncia Laviano — e con l’abbassamento dei volumi produttivi legati ad alcune motorizzazioni. Senza nuovi prodotti e con il cambio Dct che inizierà a essere costruito non prima della fine dell’estate 2026, sarà impossibile garantire piena occupazione». Secondo indiscrezioni industriali, il rinvio della presentazione del piano — annunciato inizialmente dal ceo Filosa per marzo 2025 e ora previsto entro giugno — sarebbe legato ai cambiamenti in corso nel gruppo e alla volontà di ridefinire la strategia complessiva, in un momento in cui il mercato automobilistico europeo vive una forte contrazione. Laviano, pur riconoscendo che «in una fase di mutamento e incertezza anche un cambio di assetto può essere comprensibile», sottolinea come «la nomina di un manager italiano alla guida del gruppo potrebbe lasciare pensare a una possibile volontà di rilancio del brand e di un riequilibrio delle scelte industriali». Il dirigente della Fim-Cisl ricorda tuttavia che gli ultimi anni sono stati segnati da una perdita significativa di competitività: «Tantissime autovetture vendute in meno su tutto il panorama europeo, poche motorizzazioni offerte su modelli che pure avevano appeal sul mercato, troppi problemi legati alla qualità e al rapporto con i fornitori, che hanno rallentato drasticamente le produzioni di Stellantis». Il sindacato chiede che la riorganizzazione annunciata non si traduca in ulteriori sacrifici per i lavoratori italiani e per i siti storici del gruppo. «Non possiamo permettere che il ritardo nella definizione delle strategie si trasformi in mesi e mesi di cassa integrazione, con il rischio di desertificare l’industria dell’auto nel nostro Paese». Lo stabilimento di Termoli, da sempre uno dei cuori produttivi del gruppo — specializzato nella costruzione di motori termici e trasmissioni — avrebbe dovuto essere trasformato in un polo dell’elettrificazione. Ma il progetto della Gigafactory, annunciato come una grande opportunità per il territorio e per il Molise, resta fermo al palo. Laviano non nasconde la delusione: «Non sappiamo quali siano oggi gli impegni precisi della presidenza del Consiglio e del Ministero delle Imprese sul progetto Gigafactory, ma soprattutto da parte di Stellantis ci aspettiamo chiarezza. Non possiamo continuare ad assistere a promesse rinviate. Termoli ha bisogno di risposte oggi, non nel 2026». Il segretario della Fim-Cisl insiste sulla necessità di una politica industriale nazionale, che accompagni la transizione ecologica senza sacrificare l’occupazione. «Non basta dire che l’auto del futuro sarà elettrica. Serve un piano che mantenga in Italia la produzione e il valore aggiunto. Altrimenti rischiamo di perdere non solo posti di lavoro, ma anche competenze e identità industriale». Il rinvio del piano industriale, osserva Laviano, significa di fatto prolungare l’uso massiccio degli ammortizzatori sociali negli stabilimenti italiani. «Se la decisione sulle strategie industriali viene rimandata ancora, ciò non farà che spostare in avanti il periodo di cassa integrazione. È chiaro che se le maestranze verranno informate solo a metà 2026, i cambi industriali non potranno avvenire prima del 2027. Questo significa che il mercato dell’auto non riprenderà quota prima di allora, ed è un fatto drammatico». La Fim-Cisl teme che, senza un’accelerazione sugli investimenti, lo stabilimento termolese non possa garantire occupazione piena neppure nel 2026. «Termoli non riesce a dare lavoro a tutti, e se perde la sua fetta più importante di produzione, ne risentirà tutto il Molise. Lo diciamo da tempo: l’indotto è in ginocchio, le fabbriche sono al collasso e le ore di cassa integrazione aumentano ogni mese». Il sindacalista non si limita alla denuncia, ma lancia un appello accorato: «Probabilmente è arrivato il momento di chiedere una vera mobilitazione. Il Molise deve farsi sentire. Non ci rendiamo conto fino in fondo di quelli che possono essere gli effetti di una rivoluzione industriale che sta portando via troppo tessuto lavorativo». L’analisi di Laviano va oltre i confini della metalmeccanica: «Non sarà soltanto la filiera dell’auto a pagare il prezzo di questa incertezza. Anche tutto ciò che ruota intorno, dal commercio ai servizi, subirà un contraccolpo. Il rischio è che il territorio perda vitalità economica e popolazione». Un rischio, quest’ultimo, che a Termoli è già visibile: «Una città che era cresciuta grazie all’insediamento industriale oggi vede sempre più persone andar via. Il declino demografico è sotto gli occhi di tutti». Per la Fim-Cisl, la soluzione passa da una sola parola: prodotto. «Basterebbe che Stellantis decidesse di montare e carrozzare motori Mild Hybrid di Termoli su altre piattaforme del gruppo. Stellantis ha 15 marchi: è impensabile che oggi i motori prodotti qui vadano soltanto su due o tre modelli, con pochissime motorizzazioni. Così lo stabilimento è condannato». Il sindacato chiede un impegno concreto del Governo e del management aziendale per rilanciare il sito e dare prospettive certe. «Non possiamo più limitarci ad attendere la Gigafactory: servono da subito investimenti e una visione industriale che integri Termoli nella filiera globale dell’elettrico e dell’ibrido». Sul fronte politico, cresce l’attesa per l’incontro del 20 ottobre tra i sindacati metalmeccanici e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, durante il quale verrà chiesto un aggiornamento dettagliato sul piano Stellantis e sui tempi del progetto Gigafactory. La Fim-Cisl si presenterà al tavolo con una linea chiara: chiedere garanzie per Termoli e per gli altri stabilimenti italiani — da Melfi a Mirafiori, da Pomigliano a Cassino — oggi tutti alle prese con cali produttivi e transizioni parziali. «Le istituzioni devono pretendere chiarezza. Non possiamo più permettere che i piani industriali si traducano in attese infinite mentre le famiglie restano senza prospettive». L’Italia dell’automotive è a un bivio. Da un lato, la necessità di innovare e di adattarsi alla transizione ecologica; dall’altro, il rischio concreto di una deindustrializzazione silenziosa, che colpisce il Mezzogiorno e in particolare il Molise. Laviano, pur tra le difficoltà, mantiene uno spiraglio di fiducia: «Vogliamo essere ancora ottimisti. Vogliamo credere che ci siano possibilità concrete di rilancio. Ma serve una scelta chiara da parte dell’azienda: non possiamo più vivere di rinvii e promesse». «Senza una strategia industriale e senza nuovi prodotti — conclude Laviano — Termoli e il suo territorio non avranno futuro. È ora che Stellantis e il Governo diano risposte concrete. Non tra un anno. Ma adesso». EB

























