Reduce dall’incontro di Torino di lunedì pomeriggio col ceo di Stellantis, Antonio Filosa, il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, è giunto nella tarda mattinata di ieri a Termoli, dove ha incontrato i ‘suoi’ nella sede del Corso Nazionale, e dove lo abbiamo intervistato, proprio sul vertice piemontese. «L’incontro è stato positivo solo in parte: abbiamo ricevuto alcune conferme importanti, ma restano nodi irrisolti, soprattutto per Termoli».
Uliano, qual è il bilancio complessivo del confronto?
«È stato un incontro positivo per certi aspetti, soprattutto per quanto riguarda le nuove assunzioni che verranno effettuate a partire da febbraio 2026 per l’avvio del secondo turno produttivo della Fiat 500 ibrida. È una notizia importante, che segna un’inversione di tendenza rispetto ai mesi scorsi. Rispetto agli altri stabilimenti, c’è stata la conferma del piano industriale illustrato da Imparato il 17 dicembre 2024, e questo è un segnale di continuità da parte del gruppo. C’è stata inoltre una interlocuzione costruttiva con le organizzazioni sindacali, con l’obiettivo di ricostruire un clima di collaborazione. Filosa ha ribadito l’intenzione di mantenere la centralità dell’Italia, insieme a Francia, Nord America e Sud America, e di non chiudere stabilimenti né attuare licenziamenti unilaterali».
La situazione produttiva però resta complessa…
«Molto complessa. La produzione complessiva in Italia è diminuita di un terzo nel 2024, un dato allarmante. A fine anno produrremo circa 110 mila veicoli, un numero drammaticamente basso. Abbiamo chiesto spiegazioni e garanzie soprattutto per gli stabilimenti più in difficoltà. Uno di questi è Termoli, dove la situazione è ormai paradossale: non ci sono nuovi motori assegnati, e al tempo stesso non è stata ancora decisa la realizzazione della Gigafactory per le batterie».
Quali risposte avete ottenuto su Termoli?
«Purtroppo, poche e insufficienti. L’amministratore delegato ci ha detto soltanto che la decisione sulla fabbrica di batterie sarà presa entro la fine dell’anno. È una risposta che non ci soddisfa, perché da giugno attendiamo un chiarimento. Nel frattempo, i lavoratori vivono nell’incertezza: l’uso della cassa integrazione è molto alto, e il livello occupazionale è sceso a circa 1.800 addetti. Se non si realizzerà la fabbrica di batterie, quello stabilimento va riempito di altre attività produttive, va data una prospettiva concreta. Non si può lasciare un sito così importante per l’economia del Molise e del Sud in una condizione di sospensione. È da un anno e mezzo che il progetto della Gigafactory è congelato».
C’è anche un problema di rapporti tra Stellantis e Acc, la società che dovrebbe costruire la Gigafactory?
«Sì, Stellantis ci ha spiegato che la decisione finale spetta alla società Acc, di cui il gruppo è azionista ma non di maggioranza. Tuttavia, questo non può diventare un alibi. Stiamo assistendo a una sorta di gioco di rimpalli: non solo tra Acc e Stellantis, ma anche tra Stellantis e le istituzioni europee, in un contesto normativo che, secondo il Ceo, è diventato troppo rigido».
A cosa si riferisce esattamente?
«Filosa ha evidenziato che, negli Stati Uniti, l’amministrazione federale ha adottato un quadro di regole più flessibile, che favorisce gli investimenti e la transizione industriale. In Europa, invece, abbiamo un divieto di vendita dei motori termici dal 2035, senza che siano stati messi in campo interventi adeguati a infrastrutture di ricarica o incentivi alla transizione. La stessa Unione europea ha annunciato che entro la fine di quest’anno rivedrà le limitazioni sulle emissioni, e noi auspichiamo che questo porti a un correttivo realistico. Se non si interviene, il rischio è che l’intero settore rimanga bloccato: mancano infrastrutture, incentivi e chiarezza normativa. È necessario rivedere tempi e modalità della decarbonizzazione, per evitare che la transizione ecologica si traduca in un colpo mortale per l’industria automobilistica».
Avete parlato anche del ruolo del Governo italiano in questa vicenda?
«Sì. Prima dell’estate avevamo chiesto un tavolo specifico su Termoli, come previsto dagli impegni del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, per chiarire se il progetto fosse sospeso o cancellato. Non siamo mai stati convocati. Dopo l’incontro con Filosa, abbiamo ribadito la richiesta di attivare immediatamente il tavolo per il settore automotive, perché la situazione di Stellantis ci preoccupa seriamente».
Come giudica la tenuta complessiva del piano industriale Stellantis?
«Il piano strategico approvato a dicembre 2024 è stato riposizionato dopo la fase Tavares e rimane la base da cui ripartire. Tuttavia, serve rafforzarlo con nuovi investimenti, perché i volumi produttivi restano bassi. Prendiamo il caso dello stabilimento di Cassino: le nuove produzioni ibride della Stelvio e della Giulia, previste per la fine del 2025, sono state rinviate di oltre un anno, e al momento si parla del 2027. Ci hanno confermato che verranno realizzate, ma senza indicare date precise. Questo significa che anche il piano industriale avrà bisogno di un aggiornamento completo entro giugno 2026».
Che impressione le ha fatto Antonio Filosa?
«È un uomo di fabbrica, conosce a fondo le realtà produttive. Non lo definirei un semplice esecutore delle decisioni del gruppo: è una figura che comprende le criticità dei siti italiani. Tuttavia, è chiaro che le scelte strategiche dipendono dai vertici internazionali. Dagli interventi di ieri è emerso con forza il riferimento al quadro normativo europeo: la vera incertezza oggi è lì. Noi ci auguriamo che venga chiarito presto, per non dare alibi a Stellantis o ad altre case automobilistiche per non investire in Italia. Oggi, tra lo stop ai motori nel 2035, le sanzioni sulle emissioni di CO₂ dal 2027 e l’incertezza dei mercati, si è creato un clima che non aiuta né le aziende né i consumatori».
Come si può rilanciare il settore automobilistico europeo?
«L’Europa deve fare come gli Stati Uniti: servono regole certe e un piano d’investimenti forte, come quello americano da 13 miliardi di dollari. Bisogna investire sulle “small cars”, le utilitarie che sono il cuore della produzione europea, e rinnovare il parco auto incentivando la sostituzione dei veicoli più inquinanti. Un passaggio chiave è introdurre la neutralità tecnologica, cioè permettere diverse soluzioni di motorizzazione – elettrico, ibrido, idrogeno, biocarburanti – tutte orientate alla riduzione delle emissioni. Solo così si può preservare il sistema industriale e gestire una transizione sostenibile anche dal punto di vista sociale e occupazionale».
Uno sguardo, infine, alla manovra economica italiana: cosa chiede la Fim-Cisl?
«Stiamo chiedendo che la manovra rafforzi le politiche industriali. In Europa oggi è possibile generare debito solo per le spese militari, ma noi riteniamo che questa deroga debba valere anche per gli investimenti strategici, come automotive ed energia. Lo sostengono in molti, a partire da Mario Draghi, che ha più volte ribadito la necessità di un grande piano industriale europeo. Sul fronte fiscale, la Cisl sta lavorando per correggere la manovra nei punti che ci convincono solo parzialmente. La detassazione sugli aumenti contrattuali è una misura importante, ma il tetto previsto è troppo basso. Positiva anche la riduzione delle tasse per la terza fascia di reddito e la detassazione dei premi di risultato, ma servono interventi più incisivi contro l’evasione. Noi stiamo presidiando l’iter parlamentare per fare in modo che la manovra venga migliorata nella direzione che il sindacato propone: più investimenti, più lavoro, più industria».
Emanuele Bracone
























