La notizia è arrivata poco dopo le 21 di lunedì: la Cassazione ha confermato la condanna per Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro per omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi. Non 13 anni ma 12, un piccolo “sconto” rispetto alla sentenza d’Appello di maggio scorso.
Il militare di Venafro, originario di Sesto Campano, poco dopo la pronuncia di condanna ha salutato moglie e figlie e si è costituito presso la caserma dei Carabinieri di Isernia, da lì ha poi raggiunto nella notte il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove sconterà la condanna.
«Per noi non c’è nesso di causalità tra pestaggio e morte. Il nesso, come ho provato a spiegare durante il processo, è interrotto», aveva sostenuto la difesa nel secondo grado affidata all’avvocata Antonella De Benedictis. In Cassazione il militare 43enne – all’epoca dei fatti 30enne e sospeso dal 2017 quando prestava servizio a Cassino – si è affidato all’avvocata Lara Capitanio dello studio legale Pesaturo. La stessa professionista ha fatto sapere che Alessio Di Bernardo è rimasto in silenzio appresa la notizia della condanna e si è poi costituito. L’avvocata Capitanio ha parlato di eccessiva mediaticità del caso anche in Cassazione.
Ricordiamo che i carabinieri sono stati condannati per il pestaggio di Stefano Cucchi, avvenuto nel 2009. Il geometra morì dopo una settimana di ricovero nell’ospedale Sandro Pertini di Roma.
La sentenza definitiva è arrivata a distanza di 13 anni tra inchieste, processi, depistaggi.
«Fu una via crucis notturna quella di Stefano Cucchi, portato da una stazione all’altra», ha sottolineato in aula il procuratore generale Epidendio raccontando il pestaggio subito dal giovane nella caserma Casilina. Tutte le persone che entrarono in contatto con Cucchi dopo il pestaggio rimasero impressionate dalle sue condizioni.
«Si tratta di soggetti professionalmente preparati che si trovano ad affrontare una reazione prevedibile, e nemmeno delle più eclatanti, durante il fermo di Stefano Cucchi che rifiuta di sottoporsi al fotosegnalamento», ha sostenuto il pg prima di evidenziare come quella inflitta «è stata una punizione corporale di straordinaria gravità, caratterizzata da una evidente mancanza di proporzione con l’atteggiamento non collaborativo del Cucchi».
Altri due i militari coinvolti nel processo: Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere, ci sarà un nuovo giudizio di secondo grado.
Non si è fatta attendere la reazione della sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, la cui sete di verità ha di fatto consentito di arrivare alla sentenza.
«Possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte», ha commentato ringraziando il compagno e legale della famiglia Fabio Anselmo e il pm Musarò che ha ricostruito quanto avvenuto quel tragico giorno del 22 ottobre 2009.

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