Novità sul fronte della candidatura dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno a patrimonio modiale dell’Unesco. Ad illustrarle è Federico Marazzi, referente tecnico-scientifico per il sito di San Vincenzo al Volturno: «Dopo un lungo e faticoso iter,- annuncia – il documento di valutazione preliminare (Preliminary Assessment) della proposta di candidatura seriale Unesco “Gli insediamenti benedettini altomedievali in Italia”, è stato inviato a Parigi nei tempi previsti e depositato lo scorso 15 settembre presso gli organi consultivi dell’Unesco, in ottemperanza alle nuove disposizioni stabilite dall’Organizzazione in merito al vaglio delle candidature.
Promossa e patrocinata dalla Fondazione comunitaria del Lecchese, e con il coordinamento operativo dell’Ufficio Unesco del Ministero della Cultura, la proposta di candidatura nasce dalla volontà di riconoscere la portata universale del monachesimo benedettino, e focalizza l’attenzione sugli eccezionali valori che esso produce e rappresenta e sul contributo determinante che esso ha offerto nelle vicende storico-culturali del medioevo mediterraneo ed europeo e nella formazione dell’Europa moderna.
Il sito seriale è costituito da una selezione rappresentativa di insediamenti monastici benedettini delle origini nel loro contesto paesaggistico, selezionati su tutto il territorio nazionale: i monasteri di Subiaco e Montecassino costituiscono i luoghi natali della parabola benedettina, e insieme alle abbazie di Farfa e di San Vincenzo al Volturno divennero i luoghi primari per la conservazione, la diffusione e la trasmissione del sapere e della cultura; gli insediamenti di San Pietro al Monte a Civate e di San Michele della Chiusa in Val Susa rappresentano uno scenario di estrema unità tra architettura e ambiente alpino, segnando vie di comunicazione tra la penisola italiana e i territori d’oltralpe; l’abbazia di Sant’Angelo in Formis, presso Capua, al pari di San Pietro al Monte, conserva preziose testimonianze delle arti visive del Medioevo in ambito europeo e mediterraneo; infine San Vittore alle Chiuse, nei pressi delle Gole di Frasassi, costituisce un esempio straordinario della trasmissione di saperi e conoscenze architettoniche, nonché un caso emblematico di gestione del territorio nell’alveo dell’incastellamento dei territori peninsulari. Nel loro insieme, gli insediamenti selezionati rappresentano la materializzazione di un fenomeno che affonda le sue radici nella penisola italiana e che si diffuse su larga scala in tutta Europa».
La proposta di candidatura, che coinvolge 10 comuni italiani, Subiaco (RM), Cassino (FR), Fara in Sabina (RI), Castel San Vincenzo (IS), Rocchetta al Volturno (IS), Civate (LC), Sant’Ambrogio (TO), Chiusa San MicheleTO), Capua (CE), Genga (AN), distribuiti in 6 regioni (Lazio, Molise, Lombardia, Piemonte, Campania, Marche), è sostenuta dal Ministero della Cultura, e beneficia del coordinamento e del supporto tecnico-scientifico dell’Ufficio Unesco. Ottenuto nel 2016 l’inserimento nella Tentative List italiana presso l’Unesco, la candidatura è stata approvata dal Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, riunitosi lo scorso 8 settembre in modalità telematica sotto la presidenza di Franco Bernabè.
Il progetto di candidatura gode inoltre di un comitato scientifico di alto profilo che sancisce la collaborazione tra numerosi Atenei. A fianco della Fondazione comunitaria del Lecchese, patrocinano l’iniziativa il Politecnico di Torino, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, l’Università degli Studi di Urbino ‘Carlo Bo’, La Sapienza Università di Roma, l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, l’Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, l’Università del Salento e il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo.
Marrazzi commenta inoltre la decisione della giunta regionale di nominare la figura del “conservatore onorario” del sito di san Vincenzo al Volturno. Una scelta che, sostiene, «ha destato notevole sconcerto, perché al di là dei profili di incostituzionalità che l’oggetto della delibera presenta rispetto alle prerogative di Stato e Regione in materia di Beni culturali, preoccupa il fatto che il dettato della delibera indica, tra le funzioni attribuite a questa figura, quella di “promuovere tutte le azioni di leggere la reintegrazione delle proprietà regionali eventualmente occupate da altri soggetti nell’ambito del Parco Archeologici di San Vincenzo al Volturno”.
Stante il fatto che l’unico “altro soggetto” che detiene la proprietà di terreni all’interno dell’area archeologica è il Ministero della Cultura, avendo – come prevede la legge – acquisito al demanio statale i terreni indagati dagli scavi archeologici ove sono emersi resti dell’antico monastero, il risultato è che, mentre il Ministero della Cultura opera per condurre in porto la delicata operazione della candidatura Unesco, la Regione sembra metterne in mora la legittimità a svolgere sul posto le proprie funzioni istituzionali di tutela dei beni archeologici, configurando quasi come un’illecita sottrazione la normale presa in carico dei beni stessi da parte dello Stato.
L’eco di questo provvedimento presso chi si sta adoperando per finalizzare positivamente la candidatura Unesco – conclude il referente tecnico sciientifico -non è stato certo dei migliori e la preoccupazione è che a San Vincenzo, sulla proficua collaborazione fra istituzioni, prevalga ancora una volta, come purtroppo è accaduto sovente in passato, una situazione di stallo e di conflitti istituzionali, fomentati senza considerare adeguatamente la posta in palio rappresentata dal futuro di questo sito eccezionale e dall’opportunità che la candidatura stessa rappresenta».

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