Intanto il guanto di sfida a Micone: volete sfiduciare Toma, siamo pronti da una vita. Portate cinque firme, per quanto ci riguarda la mozione è già sottoscritta.
Poi la crisi innescata dal Movimento. Che, non lo nasconde Andrea Greco, potrebbe portare ad ulteriori defezioni oltre quella del gruppo di Di Maio. Un pasticcio a cui porre rimedio senza conseguenze sarebbe impossibile – il suo ragionamento.
Che aria tira Greco?
«Ho appena terminato un briefing con i capigruppo delle altre regioni. C’è molta incertezza».
La sua idea sulla crisi?
«Abbiamo fatto una scelta che all’epoca per me era chiaro dove ci avrebbe portato: sostenere il governo Draghi, il governo di una persona di cui fino a poco tempo fa sul blog del Movimento dicevano di ogni, è stato, dal mio punto di vista un errore. I nove punti oggi rischiano di arrivare fuori tempo massimo. Nonostante si tratti di rivendicazioni sacrosante e giustissime. Nove probabilmente sono anche tanti. Bastavano: salario minimo, inceneritore di Roma e superbonus. Tre temi erano sufficienti per dire a Draghi: o tuteli queste misure o non votiamo la fiducia. I numeri per mantenere il governo ci sono, ovvio. Anche senza il Movimento. Noi poniamo una serie di istanze, ora tocca al premier dimissionario decidere. Fermo restando che noi all’opposizione facciamo paura, non come Giorgia Meloni, che fa finta».
Cosa intende oggi per “Movimento”?
«Bellissima domanda. Il Movimento per essere definito tale deve recuperare l’unione. Se Conte dice una cosa non è che dopo tre ore c’è chi afferma l’esatto contrario. Sono abituato ad affrontare la politica con serietà. “L’ala governista”, i “contiani governisti”: questa roba non si può sentire».
Quante le defezioni dalle informazioni in suo possesso?
«Ascoltando i capigruppo, ce ne sono in tutte le regioni. Credo che una trentina di parlamentari potrebbero sganciarsi e votare la fiducia. Sono tanti. Se 30 parlamentari votano contro la linea politica del Movimento, sarà necessario prendere gli stessi provvedimenti assunti nei confronti di Ortis e Testamento, che non votarono la fiducia a Draghi. Non puoi fare due pesi e due misure. La conta la faremo tra qualche ora. Dico solo che una forza politica ha forza, mi sia concesso il gioco di parole, se è unita nelle decisioni. Al di là delle differenze di vedute è importante essere lineari. Se Conte dice una cosa e due secondi dopo viene smentito dalla famosa ala governista, vuol dire che l’operazione di Di Maio è più grande di quanto possa sembrare. Vuol dire che molti parlamentari del gruppo spingevano verso quella direzione».
Nel Movimento ci sono parlamentari che non esprimono il Movimento, quindi.
«Certamente di errori ne sono stati fatti, non l’ho mai negato. Siamo una forza politica giovane che si è trovata nelle istituzioni a fronteggiare quei meccanismi di democrazia interna ai movimenti, ai partiti. È evidente: non eravamo maturi».
Il suo auspicio sulla crisi?
«Riuscire a portare a casa la maggiore tutela possibile per i temi che ci stanno a cuore. Nel caso in cui non ci riusciamo, non ha più senso restare nel governo. Portare a casa tutele vuol dire ricevere assicurazioni documentate, non promesse. Il Paese reale è in una situazione di tale disastro da apparire sordo rispetto a ciò che accade in politica. Le persone sono sorde perché vivono drammi quotidiani così grandi da non potersi permettere il lusso di interessarsi di politica. È a loro che dobbiamo dare conto, con i fatti».
Come finirà?
«Non vorrei che alla fine un gruppo di parlamentari si muova in dissenso rispetto alle indicazioni. Quello sarebbe un brutto scenario per il Movimento e per il Paese. Se ci autolesioniamo in questo modo non facciamo una cosa buona. Tutti abbiamo posto a Conte una questione sulla permanenza nel governo Draghi. È stato sollecitato dai parlamentari, dai consiglieri regionali, dai sindaci. Non è che prima gli diciamo una cosa e poi lo lasciamo solo. La titubanza fa male: quando prendi una strada in politica poi devi percorrerla fino in fondo, altrimenti confondi gli elettori».
E se accadesse? Significa il fallimento o può essere considerato un punto per ripartire?
«Sono tanti i punti che abbiamo alle spalle. Servivano anche quelli per ripartire. C’è un limite a tutto. Certamente chi dovesse agire in dissenso rispetto alla linea dettata da Conte non sarà più considerato espressione del Movimento 5 stelle, sembra ovvio. La credibilità si basa anche sulla coerenza. Se in questa fase siamo coerenti e consequenziali possiamo pensare di godere del favore dei cittadini, altrimenti continueremo a perdere consenso».
Un’altra mozione di sfiducia a Toma, la terza. Una provocazione?
«No, no! Ho semplicemente raccolto la sfida del presidente del Consiglio Micone che a “microfoni spenti” nei corridoi di Palazzo D’Aimmo, rivolgendosi al collega Primiani, ha affermato: “A breve la presenteremo noi la mozione di sfiducia. Vediamo se poi la votate o non la votate”. Dove sono le firme? Noi siamo pronti, loro invece pensano che siamo spaventati dall’idea di andare a casa. Intanto, sono gasato dall’idea di affrontarli a viso aperto, non ho alcun timore di sfidare Salvatore Micone né nessuno del centrodestra. Certamente non ci presteremo più ai loro loschi giochini. Quando abbiamo presentato le due precedenti mozioni di sfiducia hanno dato il meglio con sceneggiate da circo (con tutto il rispetto per il circo). Piazzate per ottenere da Toma presidenze di commissioni, incarichi e prebende. Noi non ci stiamo più, signori. Apponete cinque firme sul documento, venite da noi e poi vediamo chi vuole mandare Toma a casa e chi no. Mi creda: sono terrorizzati. Sanno che per loro è finita. Hanno capito che non possono nemmeno ricorrere allo sport preferito: il salto della quaglia».
Lu.Co.

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