Sub commissaria ai tempi di Michele Iorio, Isabella Mastrobuono in Molise è tuttora stimata. Ha destato quindi clamore anche in regione l’intervista manager rilasciata dalla manager romana a Quarta Repubblica e andata in onda lunedì sera. «Fui mandata via dal vertice dell’Asl di Frosinone – ha detto – perché non rispondevo a scopi che erano diversi dall’assistenza ai cittadini, erano scopi della politica locale. Prevalentemente il Partito democratico».
Mastrobuono è stata dg dell’Asl ciociara nel 2014 e nel 2015. Fu rimossa da Zingaretti, allora già presidente della Regione. Ingaggiò una serrata battaglia legale con l’amministrazione regionale di centrosinistra, battaglia vinta con tanto di risarcimento danni. Il suo racconto conferma quanto sta emergendo sul sistema di potere particolarmente invasivo nel Frusinate. Tutto è scoppiato con la lite fra l’ex capo di gabinetto del sindaco di Roma Gualtieri, Albino Ruberti, e Francesco e Vladimiro De Angelis. Il primo ex europarlamentare dem, che dopo la pubblicazione del video del litigio ha rinunciato a correre per la Camera. Suo fratello, ras delle assicurazioni le cui polizze sono vendute anche alla Asl. Il motivo della rissa non sarebbe il calcio, come i protagonisti hanno dichiarato, bensì l’appoggio dei De Angelis alle regionali di primavera alla compagna di Ruberti, la consigliera regionale Pd Sara Battisti. Sospetti per ora, ma allarmanti e per questo la Procura di Frosinone sta cercando di far luce.
L’ingerenza del Pd nella sanità, ha confermato al programma di Porro la Mastrobuono, era forte e si manifestava in diversi modi da parte di esponenti locali e regionali. L’esempio più eclatante è la chiusura della Ginecologia all’ospedale di Alatri. Il reparto non aveva i requisiti relativi al numero dei parti e al tasso dei cesarei, in base al piano operativo regionale andava chiuso. Ma i politici locali non volevano, nei confronti della ex dg misero in atto minacce e usarono «espressioni di grande volgarità». Tipo, ha raccontato la diretta interessata, «”Non romperci i c***”, “Riapri quel reparto”, “Che c*** hai fatto”». Lei il reparto lo chiuse. La mandarono via insieme ai direttori sanitario e amministrativo. «Il problema non è l’appartenenza politica di chi ha fatto questo, si tratta di interessi personali all’interno della Asl: bacini di voti e feudi da difendere. È un utilizzo a scopo personale di quello che, invece, deve essere tenuto fuori». La giustizia amministrativa e quella del lavoro le hanno dato ragione, illegittima la sua rimozione. «Se non avessi avuto lo spirito battagliero, questi mi avrebbero rovinato la carriera professionale per sempre».
r.i.

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