Quando entreranno in vigore le modifiche allo Statuto proposte dal governatore Francesco Roberti, il presidente della Regione Molise potrà nominare fino a due sottosegretari (fra i consiglieri eletti), perché lo aiutino nello svolgimento dei compiti istituzionali legati al suo mandato. È la novità più rilevante, da tempo annunciata (e nello scenario politico attesa), del disegno di legge presentato dal capo di Palazzo Vitale.
La casella del sottosegretario è l’unica che il governatore non ha ancora assegnato proprio perché ha in mente da quando si è insediato di raddoppiarla. Un sottosegretario che collabori con lui per quanto riguarda la delega della sanità, si è detto all’inizio della legislatura, e uno per il raccordo fra esecutivo e Consiglio. Da allora, però, la squadra che si occupa di sanità si è ampliata molto. Oltre all’avvenuto rinnovo della struttura commissariale e dei vertici dell’Asrem, non si può non tener conto del fatto che Roberti ha affidato all’assessore Michele Iorio la delega ai rapporti con i Ministeri per l’attuazione del piano di rientro. E infatti ha preso corpo un’altra ipotesi comprensiva degli identikit dei “fortunati”: Roberto Di Baggio, che ha ricoperto quel ruolo nella passata legislatura, tornerebbe a occuparsi da sottosegretario di edilizia residenziale, formazione (le deleghe che ha già curato con la giunta Toma), Vincenzo Niro sarebbe il secondo sottosegretario (probabilmente a lui toccherebbe il raccordo fra esecutivo e legislativo anche per la lunghissima esperienza da consigliere regionale).
Gossip da Transatlantico a parte, ora c’è un punto di partenza e c’è un’idea sui tempi di realizzazione: le proposte di revisione dello Statuto devono essere approvate a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio, «con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi». Così stabilisce l’articolo 23 della Costituzione. A primavera, quindi, si completerà il quadro dell’esecutivo Roberti. Recuperando due scontenti della maggioranza che finora non hanno dato segnali evidenti di “disallineamento”. Ma prevenire, in politica anche, è sempre meglio che curare.

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