All’ombra, l’illusione di sfuggire alla calura della costa, Giuseppe (Peppino) Astore guarda il porto. Sono i giorni amari della chiusura del punto nascita.
«Quanto litigavo con Formigoni, mamma mia… Strappavo più soldi perché discutevo ma era un mercato! Gli chiedevo: ma a te quanto costa garantire i servizi nelle Prealpi? Di più che nel resto della Lombardia, rispondeva lui. Ecco, considera che il Molise è tutto Prealpi…». Anni dopo il dibattito è fermo lì: la quota di risorse inviata alle Regioni per garantire il diritto alla salute segue gli stessi, pochi, criteri. Mentre il Molise diventa sempre più ‘tutto Prealpi’ e con quelle risorse riesce ad assicurare sempre meno servizi e sempre meno bene.
Assessore alla sanità – sfiduciato, ama ricordare, perché propose una riforma che oggi viene imposta e realizzata peggio che se scelta all’epoca -, poi parlamentare. Nei Ministeri e all’Agenas, Astore è tuttora considerato uno degli interlocutori migliori, ci capiva e quel che non sapeva amava impararlo.
Fu designato assessore dal presidente Veneziale nel 1995. Suo il piano sanitario 1997-1999, che gli costò la delega. Con Michele Iorio c’è grande rispetto, non c’è mai stato amore. «Non avrei fatto neanche un’unica Asl. Una sola azienda diventa un contropotere per l’assessore». Si gode la vista del mare dopo aver pranzato alla ‘cantina del ghiottone’, capitanata da zio Antonio. Ha cucinato il primo e gli amici una zuppa di pesce che gli chef stellati invidierebbero. Adottato dai termolesi doc del borgo marinaro che lo chiamano affettuosamente professo’ , passa l’estate fra la casa in centro storico e il lido delle Sirene.

Nostalgico, professor Astore?
«Amareggiato di fronte a questo depauperamento. Le scelte andavano fatte anni fa per evitare il declino. Sa quanti anni fa io dicevo che bisognava unire gli ospedali di Isernia e Venafro e quelli di Termoli e Larino? Una proposta in termini di sostenibilità, lo avremmo fatto senza imposizioni e da anni conosceremmo una diversa organizzazione dei servizi. Ci ho rimesso il posto da assessore. Approvammo il piano sanitario ma mi bloccarono con la mozione di sfiducia sui Pal, i piani attuativi. Per guidare una Regione, un politico deve stare avanti dieci anni, altrimenti facciamo fare tutto ai tecnici, no? Con l’aiuto di grandi professionisti come Banchera, Bellentani, Palumbo avviammo un percorso. Non venne compreso. Mi fermò il vecchio potere che poggiava sulla gestione dei posti letto e sui ricoveri impropri».
Anche da senatore ha continuato a porre la questione del riparto del fondo.
«La prima regola è fissare criteri oggettivi per il fondo. Ancora oggi si tira la coperta e chi è più prepotente porta a casa più soldi. Con l’autonomia differenziata è vitale stabilire le regole. Il costo standard è una cosa, il costo della sanità è un’altra. Quanto litigavo con Formigoni su questo… Gli chiedevo: ma a te quanto costa erogare servizi sanitari nelle Prealpi? Lui ammetteva: certo, mi costa di più che nel resto della Lombardia. Ecco, il concetto è che il Molise è tutto Prealpi! Nel riparto bisogna tener conto della popolazione anziana, della densità abitativa, dell’orografia e del disagio sociale».
Siamo sempre a livello di proposta e dibattito, però.
«La battaglia a mio parere va fatta ora, approfittando dell’autonomia differenziata. Abbiamo una popolazione sparsa in 136 comuni. Per il 118 per esempio ci vuole qualche postazione in più. Perciò i fondi vanno assegnati in maniera seria, vanno cambiati i criteri».
E lei vede in campo forze capaci di affrontare la ‘madre di tutte le battaglie’ in Molise oggi?
«Va portata avanti tutti insieme. Non si può speculare e farsi le guerre. C’è una parte di molisani che sa dove andare per curarsi e può farlo, intendo anche economicamente. Ma la maggioranza si affida al sistema regionale e abbiamo il dovere di renderlo affidabile e di qualità. Al presidente della Regione dico di fare sua questa battaglia e costruire un programma condiviso. Non possiamo più perdere tempo, ci vuole il coraggio delle scelte».
Bisogna uscire dal commissariamento, però.
«Se la politica è autorevole può giocare un ruolo importante lo stesso. Io ero per il commissariamento esterno, quanto meno quando il presidente della Regione era quello che aveva prodotto il debito. Comunque la politica – senza litigi da pollaio su autisti, macchine di servizio e altro – può pretendere di aprire un tavolo a Roma su questo argomento e ottenere soluzioni».
Rispetto ai suoi tempi, sono cambiate le norme di riferimento. Il Balduzzi da un lato fa base sul solito criterio demografico che penalizza i piccoli territori. dall’altro oppone alle critiche criteri scientifici.
«Certo, i criteri sono scientifici. Ma l’impatto sui territori conta. Io credo sia possibile prevedere delle eccezioni. Come si fa a lasciare una regione completamente sguarnita di assistenza di secondo livello? L’occasione per ridiscutere almeno alcune questioni è il Patto per la salute, che ha valore di legge una volta approvato. Senza deroghe clientelari ma con decisioni serie per una buona erogazione dei servizi sanitari».
Meno ospedali e più territorio, lo diceva quando destava scalpore.
«Oggi è ancora più vero. Io ritengo che gli ospedali, le strutture sanitarie in genere, debbano essere collegate a rete. Presa in carico del paziente significa questo: quando entra anche nel più piccolo ambulatorio va accompagnato dal sistema sanitario. Gli serve la riabilitazione, lo indirizziamo dove c’è. Gli serve l’alta complessità, lo stesso. Credo, poi, che vada ripresa l’ipotesi di integrazione fra Cardarelli e Cattolica. Infine, lo sanno tutti che io ho sempre avuto dubbi sulla scelta di aprire Medicina. Però ora c’è e va assolutamente inserita nella rete di assistenza».
Quando lei proponeva di unificare gli ospedali, si trovò contro anche i medici.
«Eh, i medici… Io penso debbano fare un esame di coscienza i medici molisani, come noi politici ovviamente. Hanno rappresentato e rappresentano eccellenze, intendiamoci. Ma a volte hanno anche rappresentato un contropotere modello ‘amici degli amici’. E questo ha permesso alla politica di gestire il sistema in maniera clientelare».

rita iacobucci

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