Un governo regionale di centrodestra senza la Lega mentre il Carroccio – pur lontano da Palazzo Chigi e anzi forse proprio per quel motivo – mette la bandierina sull’Umbria, traina l’alleanza verso la probabile vittoria in Calabria e addirittura sogna di espugnare l’Emilia Romagna? Fuori dall’esecutivo il primo partito in Italia? Un’enormità. Un azzardo politico che a Donato Toma è già costato l’avvertimento del commissario Jari Colla, deputato brianzolo incaricato da Salvini di rilanciare il partito in Molise. Nel suo primo incontro coi dirigenti locali lo aveva già spiegato: Mazzuto è il nostro uomo nell’esecutivo Toma, punto.
Il ruolo politico dell’assessore è stato sacrificato come ramoscello d’ulivo offerto alle truppe in rivolta con Mazzuto dopo la debacle al Comune di Campobasso seguita all’espulsione delle due consigliere elette Romagnuolo e Calenda: non più coordinatore ma il posto in giunta non si tocca. Così, dopo una telefonata che a questo punto si intuisce non gradevolissima, Colla non ha avuto remore a dire pubblicamente quello che aveva già ‘consigliato’ al governatore: di rifletterci bene perché mettere la Lega fuori dalla giunta significa rompere l’alleanza.
Quanto vale questa avvertenza? Se tutto si esaurisse a Palazzo D’Aimmo, poco. Mazzuto è assessore esterno, le due ex leghiste – con più costanza l’una e un po’ meno l’altra – esprimono dissenso anche in ragione del fatto che l’assessore è ancora sulla sua poltrona. Toma recupererebbe consenso in Consiglio regionale, perché i bookmaker scommettevano (e scommettono ancora) su Aida Romagnuolo. In via IV Novembre arriverebbe Domenico Ciccarella, primo dei non eletti del Carroccio. E quand’anche Roma gli imponesse di star fuori dall’alleanza, le dinamiche locali e di governo prevarrebbero. Senza dimenticare che il giovane Ciccarella era già pronto all’ingresso in Assise per subentrare a Romagnuolo mentre Salvini al presidente del Molise indicava, senza possibilità di negoziazione, il nome di Mazzuto per l’esecutivo. E reagì male. Insomma, il primo dei non eletti della Lega in Consiglio non farà la volontà del Carroccio. Primo partito in Italia, leader indiscusso del centrodestra ma nell’Assemblea legislativa del Molise la Lega è rimasta senza rappresentanti.
Il problema, però, è che Toma conta molto sulle relazioni e i rapporti che ha messo su in questi mesi con i colleghi governatori. E non c’è dubbio che le carte le dia la Lega. Zaia, Fontana, Cirio, Solinas, Bardi e Tesei: sei presidenti sui 12 attuali del centrodestra sono del Carroccio. E Toti è molto vicino a Salvini. Tra le altre partite che stanno per aprirsi, quella sulla presidenza della Conferenza delle Regioni. Una partita tutta interna al centrodestra, che ha già i numeri per decidere il successore di Bonaccini al Cinsedo.
Il quadro nazionale per Toma è importante, sia per quanto riguarda l’efficacia della sua azione di governo (l’isolamento al piccolo Molise non porterebbe giovamento) sia sotto il profilo politico. Concilianti, quindi, le sue dichiarazioni venerdì: ho bisogno di più tempo per riflettere sul rimpasto, devo considerare una serie di cose. Non si aspettava probabilmente che Colla fosse molto meno diplomatico di lui e ufficializzasse il niet alla sostituzione di Mazzuto. Con Romagnuolo, poi, manco a parlarne. Guardi in casa d’altri, ha suggerito il parlamentare brianzolo, riferendosi a Forza Italia che ha due assessori.
La reazione a caldo del presidente? Un fuoco d’artificio: «Colla dimostra di non conoscere il Molise e fa dichiarazioni estremamente partigiane. Dichiarazioni che avrei fatto anche io per difendere una posizione che però in questo momento è poco difendibile». Non solo, ha confermato che la casella candidata al rimpasto è quella di Mazzuto, l’anello più debole perché assessore esterno e perché causa della guerriglia interna delle due pasionarie. Toma ha ribadito di aver bisogno di rimettere la maggioranza in equilibrio. Un’esigenza che il Carroccio non ha aiutato affatto in questi mesi, ha pure fatto notare, ma che ora non è più rinviabile. «Se revocherò le deleghe a Mazzuto, i leghisti li rappresenterò io», così Toma. Non nel senso che passerebbe al Carroccio, ma che essendo il garante della coalizione, lo sarebbe anche per le posizioni leghiste.
Salvini e Colla sul punto probabilmente non sarebbero d’accordo. Per ora, dunque, un braccio di ferro. Una strettoia in cui il presidente si è messo anche un po’ da solo, non ultimo con quel riferimento al risultato del 22 aprile 2018.
C’è un altro dato che però va considerato. Fino ad agosto spingevano per entrare nel partito di Salvini nomi eccellenti della maggioranza di Toma: l’esponente azzurro Armandino D’Egidio, il capogruppo dei Popolari Andrea Di Lucente e il presidente del Consiglio Salvatore Micone. Gli ultimi due erano al comizio del Capitano a inizio agosto a Pescara, quando sembrava che Salvini avesse ottenuto il ritorno al voto o potesse ottenerlo. Poi tutto precipitò. Né Di Lucente né Micone, comunque, hanno mai smentito il suo avvicinamento al Carroccio. A novembre, il giro di boa di metà mandato. E se nel frattempo il capo di Palazzo D’Aimmo approdasse alla Lega che otterrebbe così la contropartita per aver lasciato il posto in giunta a beneficio di una maggioranza più coesa?
r.i.

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