Alla fine le firme in calce alla richiesta di referendum sulla legge che taglia il numero dei parlamentari sono 71. Dopo il ritiro di quelle di alcuni senatori di Pd e Forza Italia l’altro ieri (nonché del pentastellato Giarrusso ieri), è arrivata in soccorso la Lega. A primavera, dunque, la consultazione.
Ha resistito la firma del parlamentare molisano Luigi Di Marzio. Soddisfatto che il fronte che sostiene la necessità del pronunciamento degli italiani l’abbia spuntata. Nonostante tutto. Nelle forze di maggioranza, infatti, il referendum viene descritto – oltre che come difesa delle poltrone – come strumento utile alla causa di chi vuole interrompere la legislatura (al voto si tornerebbe con lo stesso numero di collegi a disposizione).
«Come ho già avuto modo di spiegare, ho votato la legge per disciplina di movimento anche se non la condividevo perché ritengo che il tema del risparmio si affronta meglio riducendo le indennità a tutti i parlamentari, ora che siamo al governo, e perché i padri costituzionali avevano definito il numero dei componenti delle Camere nel sistema di pesi e contrappesi che bilancia il potere del governo», ribadisce Di Marzio. «Sono contento che ci sarà quindi nel Paese un dibattito così importante».
È terminata ieri, per lui, anche la querelle che lo vedeva imputato di essere moroso. All’improvviso, ma c’è un motivo, sul sito ‘tirendiconto.it’ è comparso il conto delle sue restituzioni (82.203 euro nel 2019) insieme alle spunte per tutti i mesi dell’anno appena trascorso. Il senatore, che aveva effettuato comunque bonifici mensili fa 2mila e da 300 euro (il contributo a Rousseau), ha versato a saldo quasi 40mila euro (38.450). La cifra è il risultato dell’applicazione delle (assai complicate e farraginose e niente affatto immediate, va detto) regole sulla restituzione che vigono all’interno dei 5 Stelle: Di Marzio non ha un collaboratore, le cui spese possono essere detratte dalla restituzione, né per sua scelta rendiconta con fatture e scontrini eventi e manifestazioni, spese che diminuiscono l’ammontare dei rimborsi. «La storia è piena di mutande verdi e scontrini come quelli di Marino. Io non voglio che il dubbio possa sorgere in maniera neanche ipotetica», dice. Dunque, i soldi che non spende altrimenti per l’attività parlamentare deve restituirli. Ma il conto, secondo il senatore, glielo deve fare e comunicare il Movimento. Lo staff è di tutt’altro avviso: sono i parlamentari a dover fare tutto. Sta di fatto che appena ha saputo l’ulteriore quantum Di Marzio ha pagato. E sta di fatto, è lui stesso a rivelarlo, che ufficialmente non ha ricevuto ancora risposta. «Solo grazie ai buoni uffici di Antonio Federico ho conosciuto l’entità della somma e ho fatto il bonifico. Se non fosse stato per lui, sarei ancora in attesa di una risposta e classificato quindi come moroso».
Per il resto, però, rimane tutto come prima. Di Marzio condivide il documento di Di Nicola e altri senatori sul superamento del capo politico ma lo ritiene insufficiente e poi è stato già superato. Verso il Misto, ad oggi è ancora così. E allora perché ha pagato fino all’ultimo centesimo che gli è stato chiesto? «Quali che siano le mie scelte, non potranno mai essere addebitate alla volontà di andarmene col malloppo. Getterei discredito, a quel punto, anche su chi si trovasse ad accogliermi».

r.i.

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