Non certo Luigi Di Maio, né chi è vicino a lui che infatti immediatamente dopo l’ufficialità dell’addio al senatore Di Marzio chiede di dimettersi. Ma molti esponenti del Movimento, anche di prima fascia, gli hanno chiesto ancora nei minuti precedenti al suo intervento in Aula di aspettare ancora un po’, affidando agli stati generali la speranza di un cambiamento che sono in tanti a volere. «Mi dispiace, non ci credo più. Non è una scelta maturata a cuor leggero, anzi. Ho preso una decisione e non voglio tornarci sopra», la risposta di Luigi Di Marzio ai suoi interlocutori. Con la conferma, questo sì, del sostegno al governo Conte bis.
Da ieri, il direttore sanitario del Cardarelli è nel gruppo Misto. Al termine della seduta di Palazzo Madama ha preso la parola per ufficializzare e motivare.
Dal voto favorevole, «solo per disciplina», alla legge di riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari alla firma per promuovere il referendum su quella norma. Questo l’incipit. L’esigenza di risparmio sarebbe meglio interpretata, a parere del parlamentare molisano, riducendo le indennità di tutti gli eletti alle Camere, «piuttosto che dimezzarne il numero a retribuzione invariata». Così «sarebbe stata scongiurata ogni conseguente diatriba, ampiamente prevedibile, circa un possibile vulnus arrecato agli equilibri sanciti dalla Costituzione e si sarebbe non soltanto realizzato quell’obiettivo di contrasto strutturale agli asseriti privilegi della casta, storica battaglia identitaria della parte politica cui appartengo». Per ‘caso’, poi, Di Marzio è finito nel tritacarne tutto interno al Movimento delle mancate restituzioni. Additato fra i morosi, ha tirato fuori i bonifici effettuati. Nel silenzio dei vertici e dello staff che non hanno mai smentito le notizie di stampa. Ha chiesto se dovesse restituire altro e ha saldato, senza battere ciglio, con un bonifico di circa 40mila euro. «Non si potrà dire che sono andato via col malloppo», disse confermando la decisione di lasciare i 5s anticipata su Primo Piano il 2 gennaio.
Imputato di ‘poltronaggine’ mentre per lui ridurre i parlamentari potrebbe favorire «i disegni di chi progetti non dissimili abbia già propugnato in passato nell’ambito di oscuri piani di rinascita democratica, ovvero di trasformazione in senso presidenziale dell’assetto istituzionale». E solo perché vuole che sulla riforma si pronuncino gli italiani. Il rispetto per la democrazia sostanziale
«si è trasformato in motivo di stigma e non soltanto da parte di quella frazione dell’opinione pubblica attiva sui social media, che non ha avuto ritegno nel demonizzare così gli strumenti della democrazia diretta, mentre assumeva di uniformarsi ai suoi principi», ha detto in Aula Di Marzio.
Il suo sì al referendum è stato commentato così: «Chi compie queste scelte sarebbe animato dall’interesse a innescare una crisi di governo per andare a elezioni anticipate; si assumerebbe la responsabilità di accollare alla collettività il costo di un referendum inutile, perché di esito scontato». Oppure così: «Chi compie certe scelte sarebbe animato da narcisistici desideri di un’ora di notorietà; da intenti ricattatori, per ritrattare, a fronte di contropartite; da meschina volontà di rivalsa per il mancato riconoscimento di meriti presunti; dall’obiettivo di garantirsi prospettive di accesso a future prebende, altrimenti utopiche».
Quindi, «di fronte a un’epurazione di fatto, della quale non posso che dover prendere atto, ancorché con il rammarico di separarmi da colleghi integerrimi, per fugare qualsiasi dubbio in merito, formalizzo in questa sede la mia decisione di aderire al gruppo Misto, formazione certamente inidonea a favorire qualsivoglia eventuale desiderio – quanto mai improbabile, con un avvenire, per età, ormai soltanto dietro le spalle – della reiterazione di un’esperienza rivelatasi finora deludente, anche a causa del sostanziale disinteresse ad accogliere qualsivoglia contributo ulteriore rispetto a quello di dover pigiare pulsanti».
In Molise i commenti, pubblici e privati, rispettosi e anche affettuosi di Ortis e Federico. Ma pure quelli del capogruppo in Regione Greco che su Fb anticipa quella che poi diventa ufficialmente la posizione dei sei portavoce di Palazzo D’Aimmo: Di Marzio avrebbe dovuto dimettersi. «È una sua opinione, che rappresenta quelli che non se ne sono andati dal Movimento», l’unica risposta che gli dà il senatore.

ritai

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.