Due anni di fallimenti e litigi: è ora di staccare la spina. La vedono così i consiglieri 5 Stelle. Tentano la spallata a Toma e chiamano alle armi i dissidenti di maggioranza, che criticano e votano pure con le minoranze, finora solo quando non era in gioco il destino della legislatura.
Alla vigilia del giorno della verità, i pentastellati di Palazzo D’Aimmo sintetizzano: la mozione di sfiducia all’esame dell’Aula è «figlia dei fatti e non di una posizione ideologica. Un atto dovuto e voluto non solo dal Movimento 5 Stelle, ma da tanti cittadini, amministratori, tecnici e imprenditori che hanno perso la speranza. Il Molise è fermo, bloccato dal governatore Toma, che interpreta le regole istituzionali a proprio uso e consumo, restando immobile davanti ai drammi regionali: lavoro, sanità, ambiente, turismo. Una deriva autoritaria che nuoce al Consiglio, ma soprattutto al Molise».
Andrea Greco definisce Toma un accentratore e un oscurantista: «Ci ha tolto l’accesso ai dati contabili e ai provvedimenti, ci ha costretti ad andare per un accesso agli atti fino al Consiglio di Stato dove purtroppo si è fatta giurisprudenza in negativo».
Il punto di non ritorno per lui, racconta, l’episodio del ‘cancrus’ direttogli da Toma in Aula nella discussione sul bilancio dell’anno scorso. Il presidente poi si scusò e chiarì, non era una maledizione: ma per Greco quella vicenda segnò la fine dei «rapporti anche umani».
Angelo Primiani descrive il Molise sconfortato, «assiste senza speranza alla spartizione di poltrone». Era immaginabile, rimarca, «che questa maggioranza non riuscisse in nessun intento: nove liste furono messe insieme solo per impedire che si concretizzasse la voglia di cambiamento. In questo sono riusciti, ma per il resto è bloccato tutto, a partire dal piano per il turismo da 1.3 milioni alle politiche del lavoro, col risultato che ogni anni la regione perde 3mila residenti».
E se dalla maggioranza sono arrivati segnali di distensione rispetto alle tensioni delle passate settimane, Fabio De Chirico spiega perché portare ora al voto dell’Aula la sfiducia: più in là, con il riassetto definito dell’ufficio di presidenza, i dissidi sarebbero stati del tutto sopiti.
Tra le motivazioni che i 5s hanno avanzato, nel documento firmato insieme al Pd, l’azzeramento della giunta e la nomina di Tiberio assessore. Sulla cancellazione della surroga sono d’accordo ma, ricorda De Chirico, «la chiedemmo a Toma all’inizio della legislatura». Lui invece ne ha beneficiato e l’ha cancellata quando gli serviva farlo. «In oltre due anni abbiamo assistito ai valzer sugli azzeramenti di giunta: una farsa ripetuta per cambiare tutto senza cambiare niente, solo un modo per tenere alla frusta i riottosi. Intanto Toma ha accentrato su di sé le deleghe più pesanti senza dare risposte e svilendo il confronto».
Vittorio Nola vede un «deficit di pensiero strategico»: dalla mortificazione dei talenti (dirigenti regionali e medici) al digital divide non risolto (e la giunta sceglie il click day per assegnare i fondi post Covid alle imprese) e per finire al territorio da dove arrivano richieste e bocciature per l’operato della Regione. Per esempio, dice il manager venafrano, 120 sindaci firmano un atto di indirizzo sulla sanità (Vietri Covid hospital, ndr) e 90 ne sottoscrivono uno che chiede il ripristino delle corse di autobus. È come se anche loro, conclude, dessero la sfiducia a Toma.
Che Valerio Fontana paragona a Nicola II di Russia. Più che presidenzialista, dice, questo governo è zarista. Come nella parte finale dell’impero russo, lo zar (Nicola II è stato l’ultimo) riuniva la Duma solo pro forma. Poi continuava a governare da solo, come voleva lui. Il giovane ingegnere termolese chiama in causa pure il presidente dell’Assise Micone: i deliberati dell’Aula disattesi (come per l’attivazione della Sten neonatale), Palazzo D’Aimmo ridotto a Duma appunto.
Alla «Regione della chiusura» di Toma, Greco chiede di sostituire una «Regione aperta. Stiamo ragionando con le forze civiche vere per un futuro diverso per il Molise», conclude.
Nove voti ci sono (5s, Pd e Iorio). Non bastano. La sfida è ai dissidenti del centrodestra: trasformare le critiche in atti concreti.
red.pol.

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